RENZI, È VENUTO IL MOMENTO
DI DARE UN SENSO AL SEMESTRE UE: RISCRIVERE TUTTE LE EURO-REGOLE
Il semestre europeo a guida italiana ha superato la metà della sua durata senza aver lasciato alcun segno. Né s’intravede all’orizzonte nulla che possa far pensare che nella seconda parte la musica cambi. Ma l’errore grave non è tanto quello di non saper bene cosa mettere in quella pentola, quanto di aver fatto inizialmente credere che ci avremmo cotto chissà quale piatto. La partita europea si gioca molto a Francoforte, poco a Bruxelles e niente nelle singole cancellerie, Berlino a parte. Dunque era non solo inutile, ma anche sbagliato, alimentare aspettative.
Tuttavia, ora si affaccia un’opportunità straordinaria per l’Italia, che Renzi dovrebbe cogliere al volo. Si tratta della finestra che la posizione italiana e francese sul deficit apre ad una riforma strutturale dei trattati europei, una riscrittura finalizzata a rimettere in moto l’arenato – ma sarebbe più giusto dire, mai partito – processo di integrazione politico-istituzionale ed economico-finanziaria dell’area euro. Attenzione, non si tratta di costituire improbabili cartelli mediterranei “espansivi” contro i maledetti “rigoristi” del Nord. Questa è una rappresentazione della crisi europea del tutto fantasiosa. È falsa non solo la contrapposizione Parigi-Berlino di cui si parla, ma anche solo la rottura del tradizionale asse franco-tedesco: basta pensare ai cambi voluti da Hollande nel governo, con l’estromissione degli anti-Merkel, o alla posizione di Moscovici, fino a ieri ministro che sosteneva più deficit e ora commissario Ue che chiede il rispetto dei vincoli di bilancio. È pure falsa l’idea che la stupidità – assolutamente conclamata – dei parametri europei, da quelli di Maastricht fino al “fiscal compact”, si combatta dando gas alla spesa pubblica corrente, come fin qui (e sono anni) hanno fatto i paesi “cicala”, Italia in testa. Ed è falsa la convinzione che in queste ore si sta diffondendo, secondo cui quella della Francia è una prova di forza muscolare, mentre è evidente che si tratta di una mossa di politica interna nel tentativo (disperato) di tagliare la strada all’ascesa della Le Pen all’Eliseo. Per carità, bene che riesca, ma se la destra populista e nazionalista è arrivata ad insidiare socialisti e gollisti è colpa di una politica che, tanto con Sarkozy quanto con Hollande, è stata fallimentare. E non per colpa della Germania.
Chi ci segue sa che la nostra è una posizione “liberal-keynesiana” – e non è un ossimoro, proprio perché non abbiano un approccio dogmatico – ma sa anche che abbiamo sempre sostenuto che non si poteva uscire con nuovi surplus di spesa pubblica dalla crisi causata da un eccesso di debito privato (la bolla immobiliare e finanziaria scoppiata nell’estate del 2007 negli Usa e trasferitasi immediatamente al sistema bancario mondiale) e tamponata con una moltiplicazione di debito pubblico (quello servito a immettere liquidità ed evitare il default creditizio). Comunque non facendo altra spesa corrente e non senza mettere al servizio di nuova spesa in conto capitale – gli investimenti pubblici, quelli sì che sono da fare – il patrimonio degli Stati, sottoponendoli così ad un sano dimagrimento (senza per questo sposare le tesi ultrà dello “Stato minimo”).
Dunque, evitiamo la puerile polemica anti-tedesca o non illudiamoci che domattina possa nascere l’asse Parigi-Roma. Anzi, i francesi ce li troveremo nemici sul vero terreno cui è necessario muoversi: unificare i debiti, trasformando quello medio dei paesi dell’eurozona (attualmente è circa il 90% del pil complessivo) nel debito dei nascenti Stati Uniti d’Europa. Sì, inevitabilmente ci dovranno essere tappe intermedie, ma nella direzione dell’integrazione occorre andare. Bisognava farlo già vent’anni fa all’inizio del processo di creazione dell’euro, tanto più occorre farlo ora se si vuole davvero salvare la moneta unica. Questo è il vero vulnus che mantiene i piedi d’argilla all’eurosistema, non il rigore – eccessivo, dogmatico quanto si vuole, ma almeno in parte necessario – predicato e praticato dalla Germania. Hai voglia ora di dire che la Merkel è cattiva perché vuole l’austerità e impertinente perché ci tratta come studenti a cui chiede di fare i compiti a casa. Hai voglia di evocare lo spettro della troika in nome della sovranità violata. Per sostenere certe tesi, anche quando sono giuste, occorre avere la necessaria credibilità, e Roma in questo difetta clamorosamente.
E allora, Renzi prenda la palla al balzo e predisponga nel tempo che ci separa dalla fine del semestre un road map per una nuova Europa. Si accusa la Merkel di essere una ragioniera? Bene, si dimostri di saper fare politica. Quella alta, con la P maiuscola. L’integrazione monetaria è monca senza quella politica, l’azione della Bce non è sufficiente a surrogare la mancanza di una politica economica comune. L’Europa rischia di affondare nel mare aperto della globalizzazione non (o non solo) per l’ottusità di politiche restrittive in una fase di stagnazione (per noi recessione) e deflazione, ma anche e soprattutto perché non esiste come soggetto unitario. Renzi, che ha il dono – fin troppo usato – di saper buttare il cuore oltre l’ostacolo, prenda un’iniziativa forte: convochi a Roma, nella sua veste di presidente di turno dell’Unione, i leader continentali che pesano e sparigli un gioco in cui rischiamo di finire stritolati prima di tutto gli italiani, ma con noi l’euro e l’Europa nel suo insieme. Se ci sei, batti un colpo, please.
Enrico Cisnetto
Terza Repubblica
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