venerdì 30 maggio 2014

Il referendum sull' #euro? C'è già stato e ha vinto #Renzi



http://www.tubechop.com/watch/2951157

A La Gabbia del 28/05/14 tanto per cambiare si parla di Euro. Il conduttore Gianluigi Paragone mi dà la parola e faccio una breve riflessione sulle elezioni europee, che in Italia si sono risolte in un plebiscito pro-euro e pro-Europa. Vittorio Sgarbi e Matteo Salvini ascoltano, Michele Emiliano e Mario Adinolfi concordano.

domenica 25 maggio 2014

sabato 24 maggio 2014

Italia al collasso se lasciasse l'euro

Italia al collasso se lasciasse l’euro
Il fronte anti-Ue frastagliato e diviso

L'Eco di Bergamo, 21/05/14

L’euro ha fatto bene all’Italia e abbandonarlo vorrebbe dire rischiare il default. Lo afferma Paolo Magri, direttore dell’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) di Milano. Per l’analista, che è un bocconiano di Bergamo, decisive saranno la crescita e la lotta alla disoccupazione.

Dinanzi all’offensiva antieuro, l’opinione pubblica fatica a vedere i vantaggi della moneta unica.

«Negli anni ‘90 l’Italia pagava per indebitarsi fino al 12% di interessi. I mercati internazionali – ovvero chi ci prestava i soldi – non si fidavano dell’Italia e dell’uso che faceva della lira. Per quanto paradossale possa sembrare, con l’euro l’Italia ha acquisito quote di sovranità in campo monetario che non aveva più, quanto meno perché adesso partecipa alle decisioni della Bce – invece di soccombere alle decisioni della potente Bundesbank del marco –: anzi, ne esprime il presidente, Mario Draghi».

Uscire dall’eurozona che conseguenze avrebbe?

«Anzitutto sarebbe una decisione da prendere in gran segreto per evitare enormi fughe di capitali all’estero. La lira si svaluterebbe molto, ma i guadagni per le imprese che esportano rischierebbero di essere compensati dall’impennata dei prezzi delle risorse energetiche (che si pagano in dollari). La conseguenza probabilmente più drammatica sarebbe sul debito pubblico. L’inflazione ne ridurrebbe il peso reale, ma la sfiducia dei mercati farebbe schizzare in alto gli interessi, con il rischio di rendere insostenibili gli oltre 2.000 miliardi di euro di debito. Il default dell’Italia potrebbe essere dietro l’angolo».

Non pensa che la contraddizione dell’Ue sia il mancato equilibrio fra ciò che è necessario fare in economia e ciò che è possibile fare sul piano del consenso politico?

«Il caso italiano è emblematico: un Paese fortemente europeista, ma dallo scoppio della crisi il consenso è crollato. Se i cittadini percepiscono solo i vincoli dell’Ue e non le opportunità, è inevitabile che il consenso crolli. Quel che conta è tornare a tassi di crescita sostenuti e combattere la disoccupazione>.

Non pensa che vi sia anche una responsabilità delle classi dirigenti?

«Se si guarda alle varie misure prese dallo scoppio della crisi i poteri della Commissione Ue sono aumentati. L’impressione è che però si vada verso un’Europa intergovernativa in cui i governi prendono – quando trovano l’accordo – le decisioni. Questo perché i Trattati Ue non erano stati pensati per affrontare una crisi così profonda e i governi hanno dovuto prendere l’iniziativa per rispondere con velocità, in assenza di adeguati strumenti giuridici. Ma quando le nuove regole introdotte andranno a pieno regime, la situazione tenderà a riequilibrarsi. Servirà comunque un po’ di coraggio in più».

La Germania è il grande accusatore ma anche il grande accusato.

«La Germania è un grande leader riluttante e intermittente. La sua leadership appare piena quando si tratta di ricordarci di fare i compiti a casa, ma risulta quasi assente nel delineare la strategia di crescita dell’Eurozona. Sbaglia chi critica Berlino, perché ci ricorda –a ragione – che un rapporto debito - Pil che corre verso il 135% è insostenibile. Sarebbe invece bene chiedere con forza alla Germania di dar conto di un decennio di crescita basata sulle proprie esportazioni, con poco riguardo a quelle degli altri Paesi Ue, e di politiche commerciali ed energetiche perseguite secondo un’ottica bilaterale e poco europeista».

Si sta però creando una faglia fra il Nord «buono» e il Sud «cattivo».

«Esistono differenze sul piano culturale, che si riflettono a livello politico ed economico. Il mandato di Schroeder prima e la Grosse Koalition poi sono stati vissuti dai tedeschi come momenti di vera unità nazionale. Questo ha permesso di vincere le resistenze sulla riforma della contrattazione sindacale – avvicinandola al livello delle imprese e calmierando i salari – e di rilanciare la produttività del lavoro. Ha certamente contribuito una predisposizione culturale a cedere sul piano individuale per il bene della collettività, accompagnata dalla promessa di averne un ritorno nuovamente sul piano individuale attraverso uno Stato federale più forte e con un sistema di Welfare efficiente. Un approccio culturalmente difficile da replicare nel Sud dell’Europa, a partire dal nostro Paese».

I partiti tradizionali (popolari, socialisti e liberaldemocratici) con questo voto si giocano tutto.

«Secondo i sondaggi, gli euroscettici dovrebbero assestarsi tra il 27 e il 30%. Al loro interno si trovano partiti che spaziano dal populismo fine a se stesso a forme di nazionalismo acceso alla Le Pen. Difficile immaginare in che modo e su quali temi potranno trovare un accordo stabile. Il rischio è che la loro unità si esprima in un “no” ad oltranza. Di fronte a questa prospettiva, le pressioni per un’ulteriore convergenza tra popolari e socialisti saranno elevate».

A luglio inizia il semestre di presidenza italiana: quali dovrebbero essere le iniziative più opportune in chiave europeista e per alleviare le sofferenze sociali?

«La gente chiede un segnale forte sulla lotta alla disoccupazione, a partire da quella giovanile. L’Ue ha già avviato la Youth Employment Initiative, ma è difficile trovare qualcuno che ne sappia qualcosa. E a ragione. Si mobiliteranno risorse per 6 miliardi di euro, una briciola rispetto al necessario. D’altra parte con un bilancio europeo pari a circa l’1% del Pil dell’Ue, non si può fare molto altro. L’Eurozona dovrebbe potersi indebitare per creare occupazione e opportunità di crescita e fronteggiare choc che colpiscono, incolpevolmente, solo alcuni suoi membri».

Franco Cattaneo

venerdì 23 maggio 2014

La teoria del #gombloddoh



http://www.tubechop.com/watch/2908742

Trenta secondi di purissima teoria del complotto antierlusconiano (pron. #gombloddoh) a La Gabbia del 21/05/14.

giovedì 15 maggio 2014

#Tangentopoli continua: non son marce le mele, è marcio l'albero



http://www.tubechop.com/watch/2850983

Al talk show La Gabbia del 14/05/14 si parla della "cupola" che iintendeva ondizionaaregli appalti di Expo2015 e della sanità lombarda. Il Senatore Roberto Formigoni, per 20 anni imperatore della Lombardia, minimizza. Io mi alzo per una telegraefica riflessione...

martedì 13 maggio 2014

#Gori e la verandeide di #Bergamo Alta







sabato 10 maggio 2014

Manette e ripresa

LE INCHIESTE GIUDIZIARIE,
LA RIPRESA CHE RESTA UNA CHIMERA,LE LACERAZIONI DELLA SINISTRA: TUTTA ACQUA AL MULINO DI GRILLO

Speriamo di sbagliare, ma coltiviamo il timore – e non da oggi – che le elezioni europee siano uno tsunami. Avendo avuto il sopravvento il populismo, e pure di grana grossa, era inevitabile che con il passare dei giorni a godere del vantaggio di un clima di tensione emotiva fossero coloro che più e meglio fanno leva sull’indignazione degli italiani. Grillo in testa, ovviamente, ma anche la Lega che tenta di rigenerarsi sposando la linea anti-euro. Ma se questa era la tendenza già in atto, ora, però, anche i fatti vanno in soccorso del populismo radicale, regalandogli occasioni di acquisizione di consenso insperate.

Ci riferiamo alla nuova ondata di arresti che, come goccia che fa traboccare il vaso, rappresenta in sé, senza neppure indurre ad entrare nel merito di ciascuna inchiesta e dei loro reali fondamenti, appare agli occhi dei cittadini a dir poco devastante. Ma ci riferiamo anche alle notizie, per quanto passate in secondo piano, che certificano che – come ha scritto TerzaRepubblica in tempi non sospetti, anche a costo di beccarsi l’accusa di menar gramo – la ripresa non c’è e che non si vedono i presupposti perché, almeno per quest’anno, ci sia. Come pure ci riferiamo alle sempiterne contorsioni della sinistra che, in tempi di crisi della destra e scarsa rilevanza del centro, rappresentano un ulteriore vantaggio offerto alla marea montante dell’antipolitica.

Vediamo i tre regali a Grillo con maggiore dettaglio. Partendo dalla “nuova Tangentopoli”, l’ennesima. Il paragone regge fino a un certo punto, anche perché quella di oltre vent’anni fa era un’ondata di fango che sommergeva i partiti, qui invece si tratta di vicende legate alle persone. Ma soprattutto, ciò che rende diverso l’oggi è la magistratura. Non perché siano cambiati i metodi – anzi – ma perché nel 1992 una procura, quella di Milano, prese la leadership del mondo togato dando l’impressione all’opinione pubblica di essere un contro-potere organizzato, mentre ora è proprio quella stessa procura a simboleggiare – caso Robledo, ma non solo – le spinte centrifughe che attraversano la magistratura, in una sorta di “tutti contro tutti” lacerante. Tuttavia, proprio questa confusione accresce gli effetti deflagranti delle inchieste in corso, rendendole potenzialmente capaci di assestare un colpo mortale ad una classe politica acerba e ancora in cerca di legittimazione. A tutto vantaggio di chi – Grillo – è nella condizione naturale di cavalcare l’ennesima ondata di indignazione. Anzi, Grillo non dovrà nemmeno scomodarsi troppo, perché i frutti cadranno direttamente nel suo prato. E a tutto svantaggio di chi – Renzi – dovrà scegliere se alzare il tono contro la “vecchia politica”, finendo per pagarne le conseguenze in parlamento (ricordiamoci che le europee non ne modificheranno gli assetti), oppure se pagare il fio elettorale per evitare di alzare troppo i toni della polemica politica.

Il fatto è che questo stesso schema – Grillo che sale, Renzi che scende – rischia di ripetersi per effetto delle notizie che arrivano dal fronte economico. Il calo della produzione industriale di marzo, che porta ad un miserabile +0,1% il risultato del trimestre, smentisce infatti tutte le previsioni, anche le più prudenti, andando a consolidare l’idea che, contrariamente a quanto detto dal governo, la ripresa è di là da venire. La qual cosa diventa un assist per Grillo e un boomerang per Renzi non tanto e non solo perché con questi dati non c’è che da attendersi un rialzo del pil modesto per il 2014 – non è un caso che l’Ocse abbia appena licenziato la previsione di una crescita di mezzo punto contro il +0,8% del governo (lo scarto è di oltre un terzo) – quanto perché non sarà difficile propinare all’opinione pubblica l’equazione “Renzi è uguale agli altri, promette ma non mantiene”.

Enrico Cisnetto
Terza Repubblica

mercoledì 7 maggio 2014

Il testo base del ddl #Riforme Costituzionali

venerdì 2 maggio 2014

#Renzi, il #Mussolini democratico 2.0

Corsi e ricorsi storici. Dai un'occhiata al Tweet di @elpme10 (e alle risposte, tra cui le mie): https://twitter.com/elpme10/status/462335224979128321

#Twitter: How Much and How Often?

Photo: The Vortex
Twitter is a very versatile social platform, used in many ways and styles.

Teens use it as a personal chat, news media as a broadcasting channel, politicians as a personal press agency, influencers and showbiz stars as an interface with their audience, business companies both as a dynamic ad billboard and as an instant customer service, etc.

IMHO posting links to articles can be automated, because it's recognised as a form of news broadcasting. In this case I do recommend answering questions and mentions, but the reply can be delayed a few hours.

On the contrary personal statements, statuses or questions (eg "I'm feeling great" or "Are you ready for my new blog post?") can't be automated, as they need quick interaction with replies from the audience.

Anyway none of your followers will check his TL 24/7, so by tweeting continuously you'll reach potentially all of them, annoying no one. Unless you overflow your TL in frequency of course.

#M5S ed elezioni europee, burattini e burattinai

IL RISCHIO DELLE ELEZIONI EUROPEE  È CHE SI CONSEGNINO A GRILLO LE CHIAVI DELLA POLITICA ITALIANA

Non sarà sfuggito che la modalità con cui Beppe Grillo ha strutturato la sua campagna elettorale per le europee corre su un doppio binario. Da un lato, quello scontato della polemica anti-euro, finalizzato ad intercettare tutti gli italiani – e sono un numero crescente, purtroppo – che non avendo dalla politica nostrana analisi serie su come stanno veramente le cose, e tanto meno risposte ai mille problemi quotidiani, rivolgono i loro motivi di delusione e rabbia verso l’Europa, immaginando che tutti i mali discendano da Bruxelles e Francoforte, o da Berlino se – come ama far credere Berlusconi, non meno guitto del comico genovese – si riconduce ogni scelta europea a quei “maledetti dei tedeschi”. Naturalmente le cose non stanno così, o meglio stanno anche così ma in contesto molto più complesso delle semplificazioni propagandistiche, ma soprattutto non sono quelle sbandierate dai populisti nostrani, di uscire dall’euro o di mandare a quel paese l’Europa e le sue regole (per quanto rigide e spesso stupide), le ricette giuste per uscire dai guai.

L’altro binario su cui si muove il capo dei pentastellati, invece, è quello dell’attacco frontale alla sinistra. Con un linguaggio e degli argomenti (si fa per dire) che non hanno nulla da invidiare all’anticomunismo che per due decenni ha sciorinato Berlusconi. I suoi blitz a Piombino e Siena, nei giorni scorsi, ne sono piena testimonianza, e fanno pensare che Grillo intenda tagliare la strada a Renzi nella corsa al recupero dei voti moderati e qualunquisti che Forza Italia, giocoforza, perderà per strada.

Niente di granché sofisticato, anche se rimane il dubbio che la tattica elettorale, per quanto rudimentale, sia davvero farina del sacco dell’arruffapopoli – il che lascia aperta la domanda sull’eventuale burattinaio e la sua nazionalità – non fosse altro perché si ha l’impressione che essa si collochi nel quadro di una strategia politica, questa sì, meno primitiva e più strutturata. Infatti, è evidente che al di là delle percentuali, il 25 sera i 5stelle saranno i veri vincitori delle tornata elettorale se avranno conquistato in modo inoppugnabile il secondo posto scalzando Forza Italia (ovviamente, non ne parliamo se dovessero battere il Pd, ma questa, per fortuna, resta un’ipotesi remota). Certo, non tutti i risultati saranno uguali: un conto è, per ipotesi, che il Pd prenda il 35% e i 5stelle il 25%, un altro che quei dieci punti di differenza si riducano alla metà o ancor meno. Ma in tutti i casi la conseguenza politica sarà la stessa: per Renzi sarà difficile, per non dire impossibile, tenere a bada tutte le fibrillazioni che pulsano dentro il suo partito, e in particolare nei gruppi parlamentari (che, contrariamente ai ruoli apicali nel Pd e al governo, non sono di sua espressione). Finora lo ha potuto fare minacciando ogni due per tre di andare alle elezioni anticipate, così da spaventare chi sa bene che non sarà ricandidato o comunque sarà messo in condizione di non essere rieletto. Ma dopo le europee, se Grillo avrà tallonato Renzi e ridimensionato Berlusconi, delle due l’una: o si farà la riforma denominata “italicum” (ma non si capisce perché Berlusconi dovrebbe prestarsi a farla passare), e in questo caso il meccanismo di conteggio dei voti, pensato sì per far vincere il primo ma anche per avvantaggiare il secondo (il miglior perdente), non consegnerebbe un quadro politico basato sul patto Renzi-Berlusconi che è la seconda gamba (oltre quella dell’alleanza di governo) su cui si tiene in piedi Renzi, bensì sull’impossibile diarchia Renzi-Grillo; oppure si terrà buona la norma uscita dalla decisione con cui la Corte Costituzionale ha cancellato il “porcellum”, cioè un proporzionale senza condizionamenti, e allora Renzi, che sulla base dei risultati delle europee in un’eventuale elezione anticipata uscirebbe primo ma privo del premio di maggioranza che gli consegni il pallino in mano, sarebbe costretto a fare un governo con Berlusconi (quello con Grillo lo esclude il comico), finendo con lo spaccare il Pd in modo irrimediabile.

Si dirà: basta che Renzi non vada alle elezioni. Certo. Facile a dirsi, meno a farsi. Perché il presidente del Consiglio, uscito indebolito, ancorché primo, dal voto del 25 maggio, e dovendo dimostrare che non c’era bluff elettorale nelle sue mosse di governo di questi mesi – anche questa, cosa non facile – si ritroverà stretto in una morsa politica da cui non sarà per nulla facile divincolarsi. Perché nel frattempo i parlamentari del Pd si sono accorti che non possono essere minacciati più di tanto, come dimostra il caso del “decreto lavoro”, in cui, al di là delle modifiche introdotte, è stata voluta e ottenuta la sconfitta politica del governo. Prove generali di quel che accadrà? Una cosa è certa: Renzi si è fatto più prudente e, su consiglio di Napolitano, più incline alla mediazione. Ma siamo solo all’inizio.

Certo, tutto dipenderà dal voto. Formalmente si voterà per l’Europa e l’euro – e mai come questa volta ce n’è bisogno – ma il vero risvolto delle elezioni sarà nazionale. E dunque, almeno una cosa si può far discendere dalle valutazioni che vi abbiamo proposto: il burattino Grillo è una sciagura. Che, però, non si esorcizza inseguendolo sul suo terreno: quanto a populismo non lo batte nessuno, ormai nemmeno più l’inceronato Berlusconi. Questo, Renzi, bisogna che cominci a metterselo bene in testa.

Enrico Cisnetto
Terzarepubblica