sabato 29 giugno 2013

IL #GOVERNO DEGLI SPIEDINI


di GIORGIO GANDOLA
L'Eco di Bergamo, 29/06/13
Il nipote di Letta
[photo: Panorama]

In Dalmazia, vicino a Pisak,
c’è una trattoria che si chiama
Stalingrad. Il menù è un
trionfo di piatti: antipasti,
primi di pasta all’italiana, secondi di pesce, dessert. Ma
ad ogni richiesta il titolare risponde:
«Oggi questo finito, domani». Oggi si
possono ordinare sempre e solo cevapcici, spiedini con patate fritte e insalata di cetrioli. Ogni giorno così. Il domani di quell’oste non arriva mai e lui, per farsi perdonare, sull’ultimo cetriolo attacca a suonare la fisarmonica.

Quando il governo Letta ha deciso di
prendere tempo anche sulla faccenda
degli F35 abbiamo pensato all’arte del
rinvio del signor Stalingrad. C’era l’Imu da abolire o confermare? Tutto
rimandato a settembre. C’era l’Iva da aumentare o no? Tutto congelato fino a ottobre. C’era la legge elettorale da cambiare per dare al Paese uno strumento idoneo a ottenere solide maggioranze e governabilità? Tutto sciolto nel brodo delle parole. Domani. Oggi spiedini e patate fritte, il minimo indispensabile per poter dare la sensazione di crescita, il minimo indispensabile per
garantire la navigabilità, il minimo indispensabile sempre. Non c’è, o non c’è ancora, la dimensione
del sogno, dell’orizzonte da raggiungere, del rilancio da mettere in atto con idee nuove. Servono vigore, caro presidente del Consiglio, e ancora vigore. La fisarmonica mette malinconia, meglio una
schitarrata rock.

Per la verità una decisione ruggente dal governo Letta è stata presa: le dimissioni del ministro Idem. Il problema è che non l’ha presa lui, l’ha presa lei.

venerdì 28 giugno 2013

#quanto


quanta strada è passata, quanta acqua versata, quanti occhi guardati, quanti giorni sprecati, quante scelte affermate, quanti treni saltati, quanti bivi tagliati, quante porte spaccate, quanta voglia gustata, quanta notte imbiancata, quanta cosa saputa, quanta fede sperata, 
quanta cura vegliata,
quanta scienza studiata, quanta morte vissuta, quanta vita serbata

mercoledì 26 giugno 2013

la #rivoluzione americana è scoppiata per molto meno

il boston tea party, 16/12/1773
[photo: ogginellastoria]
una burocrazia sadica e assurda ci rende sudditi del caos e ci fa mantenere un apparato elefantiaco e inutile, ma il governo non capisce. non capisce di essere servo di un apparato ministeriale che se ne infischia dei vari "decreti semplificazione", perché dal caos e dalla complicazione trae la sua ragione di vita e il suo potere. la semplificazione vera di questi burosauri ne manderebba a casa la metà, come possono volerla?

in italia siamo giunti al paradosso che persino la direttiva bolkestein, magna charta europea di tutte le semplificazioni e liberalizzazioni, si è tradotta in un aggravio di burocrazia. questa è la tassa occulta che ci stronca, l'eterno UCAS o Ufficio Complicazione Affari Semplici che inventa, ad esempio, procedure pleonastiche per comunicare agli enti pubblici dati già in loro possesso. la SCIA (segnalazione certificata inizio attività) spesso serve proprio a quello, con l'aggravante della responsabilità penale se sbagli a comunicare qualcosa. quindi prima devi farti la firma digitale, che ora le camere di commercio manco distribuiscono più, rimadando a centri servizi e commercialisti (a pagamento). poi devi accedere a piattaforme telematiche farraginose e inusabili che non riconoscono la tua firma digitale, e suderai sette camice per abbinare un account di accesso servizi alla tua identità certificata dal dispositivo di firma. poi accederai a programmi di comunicazione dati come starweb, dove devi essere un marziano laureato in cibernetica che parla assirobabilonese per sperare di capirci qualcosa (ma anche l'associazione marziani ha lamentato difficoltà).


allora disperato chiamerai l'assistenza, un 199 a pagamento dove dopo barocchi costosi giri di risponditoria parlerai con un fantozzi che ti risponde dal sottoscala e non sa nulla della pratica che devi istradare. quindi avrai speso i tuoi soldi invano, anzi a volte ti lasciano in attesa per poi rimbalzarti causa congestione traffico (tanto tu paghi comunque la telefonata...).


a quel punto non ti resta che rivolgerti al commercialista, moderno scriba in grado di interpretare i geroglifici della burocrazia, e pagare anche a lui la sua decima, che per te è l'ennesima. la burocrazia è la tassa occulta del sistema produttivo italiano, il balzello beffardo e moralmente offensivo che opprime chi lotta nonostante tutto per mandare avanti la baracca, e andrebbe agevolato non azzoppato. la burocrazia è particolarmente nociva in quanto non solo comporta quotidiano dispendio di tempo e denaro, ma è uno sberleffo della pubblica amministrazione che allontana moralmente lo Stato dai produttori di ricchezza, e mina il patto sociale e fiscale alla base del sistema-paese. in parole povere un'inaccettabile presa per i fondelli di chi manda avanti la nostra improbabile nazione con enormi difficoltà.  un governo serio prudente e accorto dovrebbe avere come primo compito quello di evitare questo sfaldamento della coesione sociale, a partire dal tessuto produttivo che è alla base del ciclo economico.


le tasse vanno pagate e gli adempimenti procedurali onorati, non sono d'accordo con chi grida "stato ladro!" strizzando l'occhio all'evasione. ma non si può continuare a tirare la corda all'infinito con tasse salate senza servizi, balzelli demenziali e adempimenti impossibili e kafkiani a mo' di ciliegina sulla torta. ricordiamoci che è sempre lultima goccia che fa traboccare il vaso.

la rivoluzione americana (#sapevatelo) è scoppiata per molto meno.

sabato 22 giugno 2013

il #gombloddoh dell'info #tv

avvertenza: avendo partecipato per un anno a l'ultima parola, il talk show politico-eretico di Raidue condotto da Gianluigi Paragone, sono sicuramente infettato dalla teoria del complotto anzi #gombloddoh. proprio per questo non posso fare a meno di notare e mettere in correlazione alcune notizie di queste ultime ore sull' informazione televisiva.

l'ultima parola è messo in forse, non sappiamo se ci sarà nei palinsesti dell'anno prossimo (più no che sì), se ci sarà un programma rischia comunque di essere riveduto e corretto ad usum delphini: si fa addirittura l'ipotesi di un talk show politico senza politici.

in casa La7 chiude i battenti l'attuale gestione di In onda, talk show condotto da Luca Telese e Nicola Porro (ma forse più dal primo che dal secondo), che danno vita ad una diaspora: Telese a Canale 5 e porro a Rai 2 (nuovo programma politico del giovedì sera). la fascia di In onda, cioè la prima serata di sabato e domenica, verrà affidata da la7 a Lilli Gruber, che ora tiene la striscia dalle otto e mezzo alle nove e mezzo di sera.

"embè?", direte voi, si tratta di autonome scelte imprenditoriali di tre aziende ben distinte e indipendenti...ma ecco scattare la teoria del #gombloddoh: non è che per caso si può intravedere un'unica manina o manona che influenza i programmi di informazione di  tutte le tv nazionali italiane? ma andiamo con ordine.

l'ostracismo a l'ultima parola in rai è  dovuto a influenti politici del Pdl, e parliamo di Gasparri e romani, che sono direttamente riconducibili a Silvio Berlusconi. anche la7, dopo essere stata acquistata da Urbano Cairo, ex homo berlusconianus, si dice sia entrata nell'orbita del cavaliere. Canale 5 è sicuramente di Berlusconi. porro è il vicedirettore del giornale, quotidiano della famiglia Berlusconi.

quindi io non ho le prove (direbbe Pasolini), ma so che dietro i tre poli televisivi nazionali che stanno vivendo un rimescolamento di carte dei programmi di informazione politica c'è un unico soggetto, il nostro silvio forever.

ora qual è la lettura complottarda e paranoica di tutti questi sommovimenti? semplice signori, il gioco si fa duro e i duri cominciano a giocare. mediobanca in un suo studio ci dice che l'Italia rischia il default entro sei mesi se non cambia qualcosa,incredibilmente avvalorando una fosca previsione di Grillo. la tensione sociale cresce di giorno in giorno insieme al rischio di instabilità politica. il governo letta è sotto ricatto permanente di Silvio Berlusconi, che minaccia ogni due per tre di far crollare la baracca se non vengono assecondati i punti del suo programma elettorale come l'abolizione dell'imu prima casa e dell'aumento iva. in pratica la campagna elettorale non è mai terminata.

in un momento economicamente così difficile e politicamente così delicato avere il controllo dell'informazione a reti unificate è il sogno di qualsiasi leader politico. programmi di approfondimento liberi e senza peli sulla lingua, di tendenza e amplificati sui social network come l'ultima parola e in onda diventano voci fuori dal coro che non ci si può permettere? meglio sedare sopire e ridistribuire le carte, in modo da avere sempre il controllo del banco?

ognuno tragga le sue conclusioni, purtroppo, come dicevo, un anno all'ultima parola mi ha traviato con la teoria del #gombloddoh, la mania di unire i puntini con una linea per vedere che disegno ne esce...
ah, e so che mi state per fare l'ultima domanda: e Santoro? ragazzi ma devo insegnarvi tutto. Santoro è quel genio del talk show politico che ospitando  Berlusconi nella celebre puntata del duello con Travaglio ha fatto risorgere mediaticamente il cavaliere dalla tomba, e aperto la strada alla sua vittoria o quantomeno non-sconfitta elettorale. da lì è venuto poi il governo letta - alfano con la golden share per il pdl, che può ritirare la fiducia all'esecutivo quando vuole.

basta, ma fermiamoci prima che dotti medici e sapienti mi facciano portar via, che sono queste idee balzane e sovversive.

potranno pure chiudere o rimodulare lultima parola, ma come vedete su di me ha già provocato danni permanenti.

#giscard: la #crisi? l' #europa ne uscirà tra 10 anni


Giscard: una crisi pilotata
L’Europa ne uscirà tra 10 anni

«Bisogna ritrovare uno scopo, una direzione di marcia. Torni l’asse Parigi-Berlino
Dopo la Grecia potrebbero attaccare l’Italia e la Francia. Letta? Una buona scelta»
DI EMANUELE RONCALLI
Valéry Giscard d’Estaing (photo: hellenandchaos)

L'Eco di Bergamo, 22/06/13

Lo stile, impeccabile, è quello di sempre. Giacca slim, pantaloni a sigaretta che lo rendono
ancora più alto e regale. Ma è il
viso lungo, affilato, con quegli
occhi piccoli e il sorriso a labbra chiuse – quasi un marchio
di fabbrica – che pare intramontabile.
Valéry Giscard d’Estaing, 86
primavere, è sempre quello degli Anni Settanta, quando con
Helmut Schmidt (allora entrambi erano ministri delle Finanze) iniziò a parlare di unificazione monetaria europea.
Ma di lui molti ricordano l’entrata in scena come scalpitante presidente. Lo incontriamo alla Nunziatura apostolica di Francia, dove è stato invitato in occasione dello scoprimento di un busto di
Papa Giovanni, realizzato da Carlo Balljana, presente il nunzio monsignor Luigi Ventura, il
ministro degli Interni francese Manuel Valls, una delegazione bergamasca con l’arcivescovo
Gaetano Bonicelli, il nipote di Giovanni XXIII, Beltramino Roncalli, Emanuele Motta, Franco Ghilardi.
E Giscard d’Estaing appare subito disponibile a rispondere ad alcune domande sul Vecchio
Continente attanagliato da forti crisi.

Presidente, lei è pessimista o ottimista sul futuro dell’Europa?

«Non è questo il problema. Non è questione di essere pessimisti o ottimisti. Bisogna avere un obiettivo chiaro, una direzione chiara. L’Europa non può vivere alla giornata, anche con posizioni
contraddittorie e confuse, occorre avere una direzione forte o sale il malcontento della
gente, bisogna dire quale obiettivo ci poniamo e perseguirlo.
In poche parole in questo momento l’Europa soffre soprattutto
per non avere uno scopo».

Per la gente l’obiettivo è il lavoro
che sembra mancare ovunque.
«Questa è
una conseguenza.
Nessuno
ha deciso di ridurlo, è l’effetto
di una situazione generale.
Per raddrizzare questa situazione occorrerà una decina di
anni con politiche economiche e finanziarie europee».
Da dove nasce
questa crisi?
«La crisi è una
crisi bancaria.
Ma non dell’euro. Il lavoro delle banche è stato per alcuni
versi sregolato,
molto speculativo.
E come ho detto anche in altre occasioni,
il lavoro delle banche
americane
e delle “officines”
(società
segrete,
ndr) è stato quello
di organizzare la speculazione in Europa».
Un progetto, un’agenda pianificata ai danni dell’Europa?
«L’ho detto, parlando di una
mano anonima dei mercati con
l’obiettivo di portare a una demolizione controllata dell’euro: prima attacchiamo la Grecia, poi l’Italia e poi la Francia».
E per l’Italia cosa vede?
«Intanto vedo con positività la
Valéry Giscard d’Estaing mentre presiede la Convenzione europea L’ex presidente francese alla Nunziatura apostolica di Francia L’ex cancelliere Helmut Schmidt
scelta del vostro nuovo presidente del consiglio, Enrico Letta. Lui è giovane».
Veniamo all’asse franco-tedesco.
Lei ha incarnato con il cancelliere
Helmut Schmidt una delle coppie
mitiche degli anni d’oro delle relazioni tra Francia e Germania.
Cosa ricorda di quel periodo che
potrebbe essere applicato oggi fra
la Merkel e Hollande?
«Ne ho parlato pubblicamente
poche settimane fa. C’è molta
comunicazione, ma poco lavoro.
Helmut ed io avevamo fissato
una regola, alla quale ci siamo
tenuti durante i sette anni: e
cioè che mai una dichiarazione
dell’uno fosse diversa dell’altro.
Sarebbe un buon esempio su
cui tornare».
Tra Francia e Germania non corre
buon sangue?
«Parigi e Berlino dovrebbero
essere partner, non avversari,
l’antagonismo dà una brutta
immagine dei due Paesi che sono i principali in Europa.
Il mondo è cambiato, siamo già
troppo piccoli. Nel 2040 ci saranno nove miliardi di abitanti
nel mondo.
Né Francia né Germania rappresenteranno l’1% della popolazione globale.
Se questi due Paesi competono,
non ci sarà nessuna Europa, ma
ci sarà una raccolta di Stati.
Mentre si hanno grandi Paesi
come la Cina. Così l’Europa
sarà una sorta di frammentazione».
L’Europa è ancora un cantiere in
costruzione?
«Credo sia relativamente facile da fare, non senza però dare
un tempo ragionevole: il 2030.
Bisogna fissare un obiettivo
economico e sociale: avere la
stessa moneta, lo stesso equilibrio di bilancio e la stessa fiscalità, la stessa tassazione nei
prossimi quindici anni. E bisogna cominciare subito.
La fiscalità è considerata da
tutti come un attributo della
sovranità. Occorre ridurre le
differenze della fiscalità.
Chi sceglie l’integrazione deve
beneficiare di condizioni identiche in tutta la zona per il lavoro, l’investimento, la ricerca».
La gente è pronta al cambiamento?
«L’opinione pubblica sì, la politica no. E incapace di riformarsi, troppo numerosa. Abbiamo
più parlamentari rispetto agli
Stati Uniti. I tagli vanno fatti
anche qui».■

sabato 15 giugno 2013

#olivati a #ultimaparola: #politica significa saper dire "no"

ultima puntata prima della pausa estiva del fortunato talk show di rai2 "l'ultima parola" condotto il venerdì sera da gianluigi paagone. giulia cazzaniga, anima dell'anteprima web del programma, intervista in diretta il pubblico e i blogger che si ritrovano tutte le settimane a discutere di politica ed economia. al min. 4:09 mi fa una domanda sul governo e io dico la mia sulla politica e l'arte delle scelte...

lunedì 10 giugno 2013

la scelta tra la peste e il colera

la scelta tra la peste e il colera
mai come oggi la politica pare aver perso la capacità non si dice di entusiasmare, ma persino di richiamare alle urne gli elettori. il dato delle elezioni per il sindaco di roma è emblematico e sconfortante: l'affluenza al ballottaggio registra un calo di sette punti sul già basso dato del 52,3% al primo turno, arrestandosi  al 45,03%. significa che a 5,5 romani su 10 nun je ne può fregà de meno di scegliere tra due candidati evidentemente non ritenuti nemmeno degni di essere votati.

insomma siamo a quella che un proverbio tedesco chiama "la scelta tra la peste e il colera", ossia tra due malattie della quale si fa fatica a individuare la meno mortale: e in questo dubbio, non potendosi più nemmeno turare il naso, il popolo se ne va al mare.

non va meglio negli altri comuni in ballottaggio: i dati diffusi del viminale indicano che in media nazionale si sono recati alle urne solo  il 51% degli aventi diritto, con un calo record di17 punti sul dato già basso del primo turno (68,1%).

il dato politico delle elezioni tra roma e il resto d'italia? a caldo possiamo dire che sono almeno 4:
  1. fortissimo astensionismo, che dovrebbe far suonare non il campanello ma la sirena d'allarme alla politica italica tutta quanta
  2. stanchezza e sfaldamento del centrodestra (allargato alla lega)
  3. scoppio della bolla movimento 5 stelle
  4. nel caos della crisi politica regge solo l'apparato della militanza post-comunista ("compagni, il comunismo è disciplina"), seppur  ampiamente minoritario rispetto al corpo elettorale (gli "aventi diritto al voto")
possiamo dire che si tratta di segnali inquietanti per la tenuta della struttura politica del nostro sistema-paese? che la fuga dei cittadini dall'elettorato attivo non è  mai preludio di democrazia ma, spesso, di soluzioni autoritarie, dato che crea un vuoto politico di facile riempimento da parte del mito italico dell'uomo forte, con le palle ecc.?

per chi non ha perso la passione della politica come cura della cosa pubblica, la domanda è: quando nascerà una compagine politica capace di fare sintesi delle istanze della maggioranza silenziosa dei cittadini, disgustata dai politicanti di ieri, oggi e (dio non voglia) domani? un partito o movimento o come lo volete chiamare, che riesca a dare a queste istanze risposte politiche concretamente spendibili invece del solito mix di fumo senza arrosto, annunci interrotti e stanche promesse da marinaio?

perché quando un simile partito politico nascesse, con idee chiare e concrete e facce pulite, con teste pensanti pronte a sporcarsi le mani con la res publica invece di starsene sul ponte di comando in azienda o  nell'aria condizionata dei loro studi professionali; quando una simile nuova forza politica nascesse, rischierebbe addirittura di intercettare la maggioranza dei delusi da questa inguardabile politica politicante italiana.



sabato 8 giugno 2013

#napolitano meno male che giorgio c'è

'o re (photo: traileoni)
il presidente della repubblica ha potere costituzionale di esternazione, il cui peso politico è inversamente proporzionale al peso di governo e parlamento. il problema non è napolitano, il problema è la vacuità della casta politica cui il presidente cerca di porre rimedio, usando la facoltà di esternazione. 

il potere è soggetto alla legge dell'horror vacui, la stessa che in televisione fa serrare le fila al pubblico negli studi televisivi: il vuoto non esiste. il vuoto di potere viene necessariamente riempito da un altro potere in funzione di supplenza istituzionale. come l'acqua fluendo liberamente riempie i più remoti interstizi, così il potere di napolitano informa di sé governo e parlamento. un potere fatto di autorevolezza, competenza tecnico-politica, memoria storica, sintesi di unità nazionale, specchiatezza morale, favore popolare, si propaga attraverso le bolle della struttura statuale, riempiendole e virandole ad uno stile di responsabilità. in questo modo viene scongiurato il rischio del collasso strutturale che il "vuoto di politica" renderebbe inevitabile, insieme allo sbriciolamento della struttura portante del sistema paese.

colpo di stato permanente, tomba maleodorante della democrazia, come berciano il secondo comico più potente d'italia e i suoi maestrini dalla penna rossa? di fronte a questi rigurgiti di nazionalismo e boria retorica anni '20 - '30, di fronte all'esibizione di violenza linguistica (per ora) e oratoria muscolare che accomuna silvio a beppe,  noi diciamo: meno male che re giorgio c'è,

#berlusconi, l' #euro e il bar sport #italia

il sogno inconfessabile di silvio
nel post I lirici dell'industria italiana abbiamo illustrato i danni che la liretta e il dumping della svalutazione competitiva hanno causato alla produzione italiana, troppo spesso sostenuta dall'esportazione di prodotti di modesta fattura, che ci ha relegato in un'eterna serie B manifatturiera. il tutto a danno delle eccellenze industriali nazionali, quelle che non hanno bisogno del cambio per esportare.

ora ci risiamo, e alla grande: la crisi turba (giustamente) le masse e chiama il suo capro espiatorio: colpa dell'euro che non ci consente di svalutare la liretta per esportare! del resto conoscete un esponente della classe dirigente italiota che abbia mai avuto il coraggio di ammettere le responsabilità sue e della casta? sempre meglio dar la colpa al #gombloddoh demoplutopippopaperino.

a due politici molto attenti alla pancia del "bar sport italia", due uomini di spettacolo come grillo e berlusconi, non è parso dunque il vero di poter ridurre tutto al derby calcistico italia/germania: tutta colpa di quella strunz della merkel! andiamo a battere i pugni sul tavolo in europa! anzi vai tu giovane letta, armiamoci e partite...

e così il nostro popolo di fantozzi, frittatona di cipolle birra gelata e rutto libero, si accomoda beato sul sofà sognando "italia/germania 4 a 3"; senza capire che è stato proprio chi propone quel modello autarchico e fumettistico, nazionalista e vagamente fascioide ("l'orgoglio della sovranità nazionale!")  la causa della deriva economica e politica della nazione.

sul tema ha parole chiare Alberto Krali nel suo fondo su L'Eco di Bergamo del 08/06/13:


SE L’EURO DIVENTA LA VITTIMA SACRIFICALE

Berlusconi ha lanciato la sfida: o il governo Merkel comprende le ragioni di Roma o l’Italia va per la sua strada. La Germania è sempre pronta a bacchettare gli altri, la tutela dei suoi interessi nazionali è intransigente. E per un Paese in recessione tragica come l’Italia è questo

un carico non più sopportabile. Questo è un tema caldo ed è evidente che se il capo del governo Enrico Letta dal vertice europeo del 27 e 28 giugno esce a mani vuote, nel Paese si scatenerà un moto di rabbia contro l’euro. 

Tutti i ceti sociali soffrono: dalle imprese ai lavoratori, l’Italia intera ribolle. Basta scorrere i giornali, o guardare i festival dell’economia. A Trento la manifestazione organizzata dal Sole 24Ore e dalla casa editrice Laterza suona: sovranità in conflitto; mille chilometri più a Sud, ai Dialoghi di Trani è emblematico il titolo: quo vadis Europa? Il politico Berlusconi ha alzato quindi le antenne e ha anticipato tutti nel dettare l’agenda politica. Ancora una volta i democratici si fanno sorprendere. Perdono così due occasioni: la prima è riprendere contatto con quegli elettori che la crisi la sentono e potrebbero riavvicinarsi al Pd, la seconda è togliere di mano all’ex capo del governo il pallino dell’euro.


La parola d’ordine è la crescita ma viene declinata in euro sì o euro no. Rai Radio3, che peraltro è vicina agli ambienti cosiddetti progressisti, sull’amletico quesito ci ha costruito una trasmissione: ma nel Pd sono troppo presi dalle loro beghe e non sentono gli umori neanche della piazza mediatica. Così nelle prossime settimane saremo presi tra i due fuochi di Grillo e Berlusconi, che sul rapporto viscerale con le folle hanno costruito le loro fortune politiche. L’ex comico con la proposta di un referendum sulla moneta unica ha trovato il classico

capro espiatorio sul quale scaricare tutte le colpe.
E l’ex capo del governo, resuscitato dopo le elezioni, ha esteso il concetto: la colpa è della Merkel.

Ma è proprio così? Spesso si dimentica che se il Paese in recessione, con i debiti che si ritrova, non avesse alla spalle la Banca centrale europea, sarebbe già affondato sui mercati internazionali. E poi non si dice che la svalutazione renderebbe più convenienti i prodotti italiani rispetto a quelli tedeschi ma non a quelli cinesi e asiatici. Erigere dazi doganali in difesa della produzione nazionale avrebbe come ripercussione la chiusura del mercato cinese all’industria italiana. E parliamo della nazione che ha il più grande numero di potenziali consumatori al mondo. E in crescita costante. Insomma non c’è partita. Ma è una questione di testa, non di pancia. 


Sono 31 infatti i miliardi di euro di cofinanziamento (dal Fondo europeo di sviluppo regionale e dal Fondo sociale europeo) che devono essere ancora spesi da qui al 2015, e che l’Italia per inefficienza non ha attivato. E che dire del 20% del Pil di economia sommersa ? E dei 60 miliardi di corruzione diffusa (dati della Corte dei Conti)? La vera misura di cui l’Italia ha bisogno è quello dell’osservanza della legge. L’euro ha fatto crescere i prezzi. E tutti si lamentano, giustamente. Ma si dà il caso che mentre da noi sono aumentati, sino

al doppio, in Francia ancora oggi nei negozi c’è il cartellino con l’equivalente in franchi. Così la gente fa i conti in rapporto al suo stipendio. Chi doveva controllare? Il governo. Allora Berlusconi e Tremonti non vollero inimicarsi i commercianti, che sono tanti e votano.

E poiché gli elettori hanno sempre ragione e i governanti pure, l’unico ad avere torto è la moneta unica. Tanto non può parlare.


ALBERTO KRALI

vedi anche 

#ultimaparola: uscire dall' #euro è la playstation degli accademici à la page? 

venerdì 7 giugno 2013

#ultimaparola: uscire dall' #euro è la playstation degli accademici à la page?


di nuovo ospite al tavolo del dibattito all'anteprima web de L'ultima parola condotta da giulia cazzaniga, mi confronto con il prof. antonio maria rinaldi, il più simpatico e disponibile dei "lirici". al min. 7:35 le mie 3 domande 3 sull'ipotesi accademica di uscita dall'euro e la sua impossibilità/contaddittorietà. son 3 domandine concrete che restan sempre senza risposta...

vedi anche

#berlusconi, l' #euro e il bar sport #italia

mercoledì 5 giugno 2013

la legge che NON abolisce il finanziamento pubblico ai partiti


tanto tuonò che piovve. dopo anni di polemiche sui fiumi di denaro convogliati dallo stato nel pozzo senza fondo delle casse dei partiti, in barba al referendum che abrogò il finanziamento pubblico (prontamente reintrodotto ribattezzandolo "rimborso elettorale"), la montagna ha partorito il topolino del disegno di legge governativo. l'ennesimo caso di funambolismo semantico, dove si dichiara solennemente che il finanziamento è abolito ma poi lo si reintroduce sotto mentite spoglie, come spiega l'articolo di Giovanni Cominelli pubblicato su L'Eco di Ber gamo. per cui la legge sull'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti tutto fa fuorché abolire il finanziamento pubblico ai partiti.  

quousque tandem abutere, catilina, patientia nostra?

"Tra il 2016/17 la legge dovrebbe andare a regime. Solo che il ddl «rimodula», ma non abolisce affatto! Il finanziamento attraverso i rimborsi elettorali – circa 150 milioni all’anno –, scacciato dalla porta, rientra dalla finestra in molti modi. Il primo è quello del finanziamento dei gruppi parlamentari (75 milioni annui) e regionali (70 milioni). Il secondo è il previsto due per mille drenato dalle tasse con detrazioni al 52% per importi compresi fra 5 e 5.000 euro annui e al 26% per importi tra i 5.001 e i 20 mila euro. Il terzo sono le agevolazioni per la stampa, per la comunicazione tv, per l’uso degli immobili.
Le circa 80 Fondazioni, legate a correnti e a persone di partito, continueranno ad incassare ogni anno contributi per quasi mezzo miliardo.

Ma le spese maggiori, che finora nessuno ha «abolito», sono quelle per il funzionamento delle

Camere. Nel 2012 sono costate 1,5 miliardi, dieci volte di più del finanziamento dei partiti. Il nostro Parlamento costa il doppio di quelli europei. Lo stipendio medio di un dipendente – dall’autista, al barbiere, al commesso – è di 150 mila euro all’anno. Un insegnante prende 30 mila euro all’anno; un preside, che dirige una scuola di mille alunni e 120 insegnanti, ne prende 60 mila! Se, poi, scendiamo «giù per li rami» delle istituzioni regionali, provinciali e comunali, i soldi pubblici finiscono in stipendi per «lavori» privatamente utilissimi, socialmente inutilissimi. La Regione Lombardia conta un dirigente ogni 80 dipendenti; Sicilia e Molise un dirigente ogni 9 dipendenti. Resta il terzo capitolo di spesa, quello dei «rappresentanti» nazionali, regionali, provinciali, comunali e di... zona: è il più alto in Europa e nel mondo.

Chi ha costruito questa mostruosa macchina di rappresentanza/governo inefficiente e dissipativa? È l’immoralismo delle classi dirigenti politiche? O quello della società civile complice, che le sceglie? Da sempre, la natura umana è quella che è. Ma sono le cattive istituzioni che fanno emergere il lato peggiore degli uomini che le abitano."


GIOVANNI COMINELLI

L'Eco di Bergamo 06/06/13

foto: tabelle sul finanziamento pubblico ai partiti mandate in onda da Porta a porta, Rai1

martedì 4 giugno 2013

#ultimaparola: #grillo dalle stelle alle stalle #M5S

Video Rai.TV - L'ultima parola 2012-2013 - "Senza Futuro" - L'ultima parola del 31/05/2013

ospite nel pubblico del mio programma preferito, il talk show L'ultima parola (condotto da gianluigi paragone il venerdì sera su Rai2), al min. 00.57.19 ecco il mio intervento sul flop elettorale del movimento 5 stelle alle amministrative: i voti degli elettori non sono messi in cassaforte...


domenica 2 giugno 2013

#ultimaparola: un sistema elettorale ci salverà (mah)

ospite al tavolo del dibattito de L'anteprima web del talk show di Rai2 L'Ultima parola, al min. 17:20 faccio un domanda sconsolata alla giulia innocenzi (giornalista di Servizio pubblico) sulla febbre da legge elettorale che sembra aver contagiato (ma per finta) la politica italiana. innocenzi, meno sconsolata di me, si pronuncia con decisione a favore dell'uninominale secco all'inglese. che dire? visti i tempi delle riforme istituzionali in italia, "ai posteri l'ardua sentenza"...

sabato 1 giugno 2013

le catacombe di #twitter: il destino dei #social network in #italia

meglio pochi ma buoni, cip cip!!!

Facebook cresce, Twitter perde quota


ELENA CATALFAMO
L'Eco di Bergamo, 1/6/13


Quattordici milioni di italiani ogni giorno sul social network. Cliccati tre miliardi di «Mi piace» al mese

Il termometro delle tweet emozioni: felicità per il nuovo Papa, rabbia durante l’elezione di Napolitano

Un italiano su quattro si collega almeno una volta al giorno con Facebook. Con 14 milioni di utenti unici al giorno il social network di Mark Zuckerberg continua la sua ascesa nel nostro Paese, insieme a Google+ e a Linkedin (il portale per condividere profili professionali),
mentre diminuisce il successo di Twitter. È la fotografia scattata dalla prima sessione di «State of the Net», la conferenza sullo stato di Internet in Italia che si è aperta ieri a Trieste.
In Italia, secondo i dati Audiweb aggiornati all’aprile 2013, sono 28,9 milioni gli utenti attivi al mese – l’80% della popolazione –, in aumento dell’1,2% rispetto al 2012, e 14,3 milioni
(+3,8%) in media al giorno. 
Cresce anche il tempo speso, che ammonta a un’ora e 28 minuti.

Gli utilizzatori principali di Internet sono gli uomini (7,8 milioni, +3%), ma le donne, che raggiungono quota 6,5 milioni, registrano una crescita del 5%. Dal 2012 al 2013 in Italia è cresciuto soprattutto l’uso di Facebook, Google+ e Linkedin, mentre è diminuito quello di Twitter: il dato emerge dall’analisi degli esperti di «Blogmeter» sugli utenti unici. Quello di Facebook è un dato in controtendenza con il resto del mondo occidentale, in cui si registra invece un calo di utenti. Facebook però, nel nostro Paese, ha 22,7 milioni di utenti mensili (+4,7%), Google+ 3,8 milioni (+56,7%), Linkedin 3,5 milioni (+18,3%), Twitter 3,3 (-11,6%). Su Internet, Facebook è la keyword (la parola chiave) più cliccata, seguita da Libero, Youtube, Google e (forse complice la primavera piovosa) il meteo. Una curiosità: nei primi mesi dell’anno i picchi maggiori di ricerca si sono registrate per le parole chiave «elezioni» e il gioco «Ruzzle».

Con 23 milioni di iscritti, Facebook resta il luogo privilegiato di incontro in Rete per gli italiani: sono 14 milioni gli utenti attivi al giorno nel nostro Paese, 10 milioni attraverso una piattaforma mobile e 5 milioni (nel 2012 erano pari a zero). È la crescita più alta d’Europa, dovuta soprattutto all’incremento solo recente dell’uso della piattaforma mobile. Questi i dati presentati da Daniele Bernardi, solution engineer di Facebook. Ogni mese gli utenti italiani cliccano tre miliardi di «like» («Mi piace») su Facebook, caricano ogni mese 288 milioni di fotografie e mandano 3,5 miliardi di messaggi privati.

Guardando al numero di fan delle pagine, la lista è abbastanza eterogenea, con in testa il settore Food and beverage (Nutella e Coca Cola), seguito da trasmissioni televisive («Le Iene») e il calcio con la pagina della Juventus. Come ci si aspetterebbe, a crescere di più sono i giovanissimi (16-24 anni) dei quali l’82% degli aventi accesso a Internet ha ora un account usato in maniera attiva su Facebook, registrando un tasso di crescita del 41%. Un altro dato interessante riguarda gli over 55, visto che più di uno su due ha ora un account attivo, con un tasso di crescita del 35% dal secondo quadrimestre 2012 al primo quadrimestre 2013. Diminuisce invece, secondo la ricerca di «Blogmeter» (che ha analizzato 71,6 milioni di tweet scritti da italiani nel primi quattro mesi del 2013), l’uso di Twitter, anche se si tratta di un uso sempre più consapevole, testimoniato innanzitutto dalla crescita dell’inserimento degli hashtag (li utilizza il 30% delle persone, +22% rispetto al 2012) e dei retweet (il 25% degli utenti li fa, +7% verso il 2012). Sono soprattutto le persone tra i 35 e i 44 anni a utilizzarlo di più. L’orario preferito va dalle 20 alle 22, conseguenza soprattutto della nuova abitudine a commentare le trasmissioni televisive e usare il tablet o lo smartphone come secondo schermo.

Attraverso l’analisi semantica dei tweet, è stato possibile analizzare l’umore e le emozioni degli italiani. Nei primi quattro mesi dell’anno l’umore è tendenzialmente negativo, con grossi picchi relativi allo stallo istituzionale e politico. Unici picchi positivi Capodanno e San Valentino. Le emozioni espresse su Twitter sono le più varie, ma ci sono alcuni momenti in cui è più evidente vederle. Ad esempio durante l’elezione del Papa le conversazioni sono state caratterizzate da gioia ed espressioni di amore.
Rabbia e tristezza nei giorni della rielezione di Napolitano.■