sabato 25 ottobre 2014

Se Renzi si salda con Silvio (attenti a quei due)

SE BERLUSCONI DA' VIA LIBERA ALLE ELEZIONI VOLUTE DA RENZI ANDIAMO VERSO UN BIPOLARISMO “STRABICO”  

Se fosse vero che il recente risveglio di Berlusconi dopo mesi di letargo politico – “io non mollo e se torniamo in piazza possiamo vincere, anche da soli” – dipende dai disastrosi sondaggi che gli hanno fatto vedere, in cui Forza Italia sarebbe precipitata sotto il 12% e si appresterebbe a perdere pesantemente le prossime amministrative, si tratterebbe della miglior conferma che prende sempre più corpo l’ipotesi delle elezioni anticipate. Finora, infatti, la percezione che tutto congiurasse per chiamare gli italiani alle urne al più presto, la davano i comportamenti di Renzi. Per esempio quel cercarsi continuamente un nemico elettoralmente utile – i sindacati per l’opinione pubblica moderata, Confindustria e i poteri forti per quella progressista, ora l’Ue che entusiasma gli uni e gli altri – o fare scelte che fossero altrettanti richiami di consenso vasto (l’articolo 18 a destra, gli 80 euro a sinistra). Così come le forzature dentro il Pd, le comparsate televisive, la convocazione dell’ennesima Leopolda.

Ora, però, è l’avversario-amico di Renzi a dar corpo all’ipotesi che si vada presto a votare. Ormai lo conosciamo, Berlusconi: quando sente odore di competizione elettorale si rimette in pista, lancia segnali rassicuranti sulle sue intenzioni, riaccende vecchie polemiche. Si dirà: ma come, fino a ieri sembrava dirci che vedeva in Renzi la sua continuità, e ora, di colpo, proprio mentre la sua scomparsa dalla scena politica – sostituito da improbabili comparse – gli procura un vistoso (e ulteriore) calo di consensi, si prepara al voto? Sì, è così, e non c’è contraddizione tra le due cose. Perché Berlusconi non ha alcuna intenzione – né possibilità, peraltro – di insidiare il giovane Matteo. E più passa il tempo, e peggio sarà. Dunque, se Renzi sente l’esigenza di trasformare il suo livello di consenso popolare in forza parlamentare a lui vicina – rispetto ad ora in cui, pur avendo conquistato palazzo Chigi e il partito, controlla poco dei gruppi, specie al Senato – perché Berlusconi dovrebbe impedirglielo (ammesso e non concesso che ne abbia realmente le possibilità)? Qualcuno sussurra che il fondatore di Forza Italia avrebbe sentore che il presidente del Consiglio lo voglia fregare, disattendendo il cosiddetto patto del Nazareno. E allora? Intanto se c’è un motivo per cui Berlusconi considera Renzi un se stesso con 40 anni di meno è proprio per la sua spregiudicatezza. Dunque certo non se ne meraviglia. Ma poi, ciò che più conta, è che in cambio della sua “non opposizione”, il vecchio Berlusca non ha nessuna contropartita politica da chiedere, ma solo la salvaguardia della sua persona, della sua famiglia e dei suoi interessi economici. E sa – perché così farebbe anche lui a parti rovesciate – che Renzi lo tutelerà solo nella misura in cui, e fino a quando, quel drappello di parlamentari azzurri gli sarà funzionale.

Certo, le elezioni anticipate interessano a Renzi, non a Berlusconi, e quel presidio parlamentare forzista con il voto non potrà che diminuire. Ma qual è l’alternativa? Nessuna. Senza contare che il successo con cui Salvini sta operando la trasformazione della Lega da partito localista a partito ultra-nazionalista (e quindi nazionale) anti-euro, rischia di togliere altra acqua al bacino già sempre più ristretto di Forza Italia. Dunque, nelle prossime settimane siamo destinati ad assistere ad un ritorno sulla scena di Berlusconi non per tentare l’impossibile recupero, ma per rinnovare il patto con Renzi subito dopo le elezioni. A questo fine, l’accordo sulla legge elettorale si troverà, avendo entrambi la convenienza a sancire la vittoria di Renzi con un premio di maggioranza e a tutelare Berlusconi con uno sbarramento alto in modo da far fuori Ncd e i residui centristi, e impedire nuovi ingressi sulla scena. Già, invece della Terza Repubblica, stiamo sperimentando una sorta di “bipolarismo strabico”, in cui è già deciso chi sta in maggioranza e chi fa l’opposizione, avendo entrambe le parti pieno interesse a rivestire quei ruoli. In questo senso, vale il raffronto tra il Pd renziano e la vecchia Dc che ci siamo permessi di avanzare in questo spazio.

Uno che se ne intende come Marco Follini, ha scritto su Europa che in realtà la somiglianza è labile, perché la Dc aveva scelto la politica di coalizione (anche quando non aveva bisogno, come dopo il voto plebiscitario del 1948) perché non si fidava della possibilità egemonica, avendo coscienza dei propri limiti, mentre Renzi è un solitario a vocazione maggioritaria che il sistema delle alleanze lo rifiuta per principio. Ora è vero che Renzi non è né De Gasperi né Moro, così come è vero, però, che in giro non ci sono né i La Malfa né i Craxi. Ma, soprattutto, questa è una fase storica in cui il Paese è così arrugginito da richiedere prima di tutto un’azione di smontaggio dei sistemi e delle logiche che hanno permeato la Seconda Repubblica. Resta comunque il fatto che il Pd, così come allora la Dc, si è piazzato al centro del sistema politico, occupandone quanto più possibile gli spazi tanto a destra come a sinistra. E così facendo non può che uccidere il bipolarismo, che per definizione richiede che ci sia una sinistra e una destra in competizione tra loro. Esattamente come era nella Prima Repubblica, in cui c’erano predefiniti sia il partito di maggioranza (seppure relativa e dotato di alleanze) sia quello di opposizione.

È un bene o un male per il Paese? Per chi, come noi, ha difeso il sistema proporzionale dal pubblico ludibrio cui è stato sottoposto, e ha criticato il bipolarismo non solo per la versione armata (pro-contro Berlusconi) con cui è stato attuato in Italia, ma in assoluto come sistema non adatto al dna italico, sarebbe facile rispondere che è un bene. Ma attenzione: noi vogliamo costruire la Terza Repubblica, non riedificare la Prima. E dunque sarà bene tornare a ragionare su che razza di sistema politico stiamo andando incontro.

Enrico Cisnetto
Terza Repubblica

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