domenica 31 marzo 2013

#napolitano, i #saggi e la mossa del cavallo

la fontana di Monte Cavallo in Piazza del Quirinale a Roma
photo: trekearth/francio64 
nel gioco degli scacchi il cavallo è  quel pezzo strategico che, con il suo movimento a elle, permette di superare ostacoli e scavalcare insidie impossibili da risolvere con un approccio frontale.
il presidente della Repubblica Napolitano dev'essere un giocatore di scacchi. di fronte all'impasse nella formazione del governo l'unica mossa possibile era quella del cavallo. come tutti sappiamo l'elettorato si è diviso su 3 minoranze, destra sinistra e Movimento 5 Stelle. nessuna di queste minoranze può governare da sola e alleanze tra loro paiono impossibili.

M5S infatti rifiuta in toto il sistema dei partiti come strutturato dalla nostra Costituzione e quindi si mette fuori gioco da solo. resterebbe la possibilità di una grande coalizione destra - sinistra, resa però impossibile dal fatto che il Pd ovvero Bersani e il suo gruppo dirigente non accettano alleanze con Silvio Berlusconi, ritenuto personaggio impresentabile. de quo il dilemma di Napolitano, che non può nemmeno sciogliere le Camere dato che siamo nel semestre bianco precedente la fine del suo mandato.

bisognava quindi a tutti costi sbrogliare la matassa, anche per non dare all'estero un'idea di Italia come zattera della Medusa nella tempesta, idea che l'avrebbe resa facile e appetibile preda della speculazione sui mercati dei titoli di Stato.

la soluzione di Napolitano è  semplice e geniale ad un tempo: lasciare in carica il governo uscente per l'ordinaria amministrazione e insediare una commissione bipartisan di 10 saggi. questo inedito organismo politico dovrebbe portare ad un nuovo governo da un lato, e dall'altro serve ad indirizzare l'azione parlamentare verso temi di convergenza sulle leggi più indispensabili e urgenti e sulle riforme istituzionali.

con questa trovata che non va contro la Costituzione pur non essendo codificata dalla stessa, Napolitano si dimostra un genio. tutte le forze in campo hanno infatti il loro contentino che le costringe a starsene buone buone. M5S, che ha dichiarato in tutte le occasioni che mai avrebbe dato la fiducia ad un esecutivo dei partiti, non deve dare la fiducia a nessuno dato che il governo c'è già, e può valutare provvedimento per provvedimento come aveva subito proclamato di voler fare per tenere tutti sotto tiro. il Pd ha il contentino che la candidatura di Bersani a ricoprire la carica di premier è messa tra parentesi e non atrocemente sbertucciata, e quindi non si deve aprire immediatamente la successione ad un segretario incapace di portare il partito fuori dalla palude. anche il Pdl ossia la forza di centro destra è gratificata dal fatto che Napolitano non la tratta come un cane in chiesa, ma anzi la valorizza nella commissione bipartisan dei saggi e la fa rientrare saggiamente in partita.

ma il grande valore aggiunto della mossa del cavallo di Napolitano è un altro: riportare il dialogo politico sulle cose concrete da fare, sulle misure urgenti da prendere per salvare l'Italia e la sua economia, togliendo di mezzo la spinosa questione della formazione del governo, che allo stato delle cose come detto sopra appare insolubile. facciamoli pensare alle cose concrete insomma e poi magari scopriranno di avere molti più punti di affinità e convergenza di quanto adesso, bandiere e lancia in resta, non si rendano conto. dalla commissione di saggi alla fine potrebbe scaturire un vero e proprio governo con un programma condiviso e la fiducia delle Camere. oppure si andrà tutti d'accordo a nuove elezioni, ma non precipitosamente stile weimar, e dopo aver fatto una nuova e più decente legge elettorale.

il vero sconfitto di questa situazione, anche se costretto a fare buon viso a cattivo gioco, è proprio il Movimento 5 Stelle, che dal caos e dall'incapacità di trovare un accordo trae ossigeno per il suo progetto di dissoluzione della democrazia parlamentare. in un quadro nel quale tutti devono fare la loro parte per salvare l'Italia infatti il Movimento 5 Stelle a questo punto non può più tirarsi indietro, e deve comunque partecipare al processo di riflessione per il bene del paese. se questa riflessione porterà ad un accordo di governo, Movimento 5 Stelle potrà decidere se far parte di questo accordo o rimanerne tagliato fuori. in entrambi casi sarà sconfitta la sua linea pura e dura contro la democrazia parlamentare e per una fantomatica democrazia diretta web 2.0. tempi difficili per il progetto "illuminato" di Gaia propugnato da Casaleggio, Becchi e l'ala oltranzista e fantascientifica del movimento.

insomma con la mossa di Napolitano che allontana l'Italia dalle urne il Movimento 5 stelle è al bivio. o rimane la pittoresca fronda dei Bastiani contrari e viene tagliato fuori da un probabile nuovo accordo tra destra e sinistra, oppure decide finalmente di sporcarsi le mani, diventa quello che costituzionalmente già è, un partito a tutti gli effetti, ed entra nel gioco della formazione di un governo. il videogame di restare fuori a veder formare un governissimo e poi attaccarlo e sfiancarlo fino alle prossime elezioni non funziona più. qui infatti non si parla di governissimo dell'inciucio partitocratico, ma di un vero e proprio esecutivo di salute pubblica, sostenuto dalla riflessione bipartisan sulle cose concrete da fare promossa dalla commissione dei saggi. un governo per l'Italia al quale lo stesso Movimento 5 Stelle sarebbe invitato a dare il suo contributo, e restarne fuori potrebbe costare al Grillo parlante la perdita del consenso di molti suoi elettori.

il problema è che Grillo non può andare contro Napolitano, perché formalmente l'uomo del Colle gli ha dato ragione verso una soluzione in chiave belga, anche se in ultima istanza la soluzione punta a neutralizzare proprio il Movimento 5 Stelle.

la mossa del cavallo era preparata da tempo, e lo si è intuito quando Napolitano si arrabbiò moltissimo e stoppò Monti, che voleva lasciare la traballante Presidenza del Consiglio per la comoda poltrona di presidente del Senato. lì si è capito che un nuovo governo non era velocemente alle porte, e pure che il vecchio inquilino del Colle Quirinale (che in passato era detto anche Monte Cavallo) ne stava meditando un'altra delle sue.

mercoledì 27 marzo 2013

#cipro e #islanda: 2 pesi e due misure


cipro, code al bancomat [photo: affaritaliani libero]
la vicenda delle banche cipriote ha colpito profondamente l'opinione pubblica europea. il fatto che il sistema bancario di un paese dell'Unione sia a rischio concreto di default e che addirittura le banche siano state chiuse d'imperio per una settimana genera timore che situazioni analoghe possano verificarsi anche in altri paesi dell'Eurozona. la soluzione individuata dal governo cipriota insieme alla Banca centrale europea è quella di una condivisione delle perdite: la BCE dà il suo contributo, mentre le banche a loro volta faranno la loro parte per contribuire al loro stesso salvataggio. come? mediante un prelievo straordinario, pare nella misura del 40 per cento, dai depositi dei correntisti per importi superiori al tetto di salvaguardia sociale di 100mila euro.

il principio che sta prevalendo nell'Unione europea è  un cambio di paradigma rispetto alla logica fin qui seguita. dall'idea di un salvataggio del sistema bancario europeo dal parte delle istituzioni comunitarie come Banca centrale europea e Fondo salvaStati al principio che ognuno deve salvarsi almeno in parte da solo.

quando la banca è in difficoltà i suoi salvatori debbono essere prima di tutto i suoi creditori, nell'ordine azionisti obbligazionisti e correntisti.

non dimentichiamo infatti che i depositi bancari sono crediti e quindi il correntista sceglie la banca a cui dare credito e se ne assume le responsabilità. insomma fatto salvo il tetto di salvaguardia sociale di 100mila euro (che a questo punto diventa davvero prezioso), se sbaglio a scegliere la banca poi sono cavoli miei. specialmente se ho scelto in base alla maggior remunerazione dei depositi: alta remunerazione che, come ben sappiamo, nella finanza fa da contrappeso ad un maggior rischio.

cos'è che fa un po' sorridere in questa drammatica vicenda? che i soliti euroscettici abbiano levato in coro la loro voce contro l'Europa matrigna, rea di aver abbandonato Cipro e le sue banche a se stesse. ma questo principio, che lo Stato non deve pagare per le banche e per i creditori delle banche con i soldi dei contribuenti, non era nuovo in Europa. dove l'abbiamo già sentito? ah sì, in occasione della crisi islandese del 2008.

solo che in quel caso gli stessi euroscettici plaudevano alla decisione islandese di non ripianare i conti in rosso delle banche, a scapito dei correntisti titolari dei depositi. fiumi di parole sull'eroismo del popolo sovrano islandese, che si era rivoltato contro l'egemonia delle banche cacciando addirittura i governanti in combutta con gli istituti di credito. l'eroico popolo islandese che aveva rifiutato le pretese dei correntisti delle banche, per lo più stranieri, rifiutando di pagare con le tasse i buchi degli istituti di credito.

insomma il principio che per l'Islanda era epico, e cioè che oltre ad azionisti e obbligazionisti sono anche i correntisti e depositanti ad assumersi il rischio d'impresa della banca se questa eventualmente va male, per Cipro diventa una sciagura totale. di più: viene additato come sintomo di eurocinismo.

strano questo doppio standard, questi due pesi e due misure. strano anche considerando un'altra analogia con il precedente islandese: anche nel caso delle banche cipriote, infatti, i maggiori correntisti e depositanti, ovvero quelli con i depositi sopra i 100 mila euro che verranno sforbiciati nell'azione di salvataggio bancario, sono in prevalenza stranieri, attirati anche dal privilegio storico di paradiso fiscale di Cipro.

quindi riepilogando: gli islandesi sono stati lodati per aver mandato a quel paese i  correntisti e depositanti olandesi inglesi e tedeschi; nel caso di Cipro invece si levano alti lai perché non vengono salvati al 100 per cento i depositi dei correntisti russi (inglesi, ecc.).

insomma gli stessi che dicono di mandare a quel paese le banche poi invocano il salvataggio pubblico delle banche. gli stessi che si scagliano contro i meccanismi di condivisione europea dei default bancari con intervento della Banca centrale europea e fondo salva stati ora imprecano contro la BCE, che pur non oppone il gran rifiuto islandese, ma pretende che le banche cipriote (ovvero i creditori delle banche e cioè azionisti obbligazionisti e correntisti) facciano la loro parte.

ma è chiaro: un conto è imprecare contro le banche al bar "Le manderei tutte fallite", un conto è accorgersi che il bancomat non caccia più i soldi.

la morale (pelosa e interessata) che vi consegno come agente immobiliare? facile: non tenete mai più di 100mila euro in depositi bancari, e se fossi in voi non mi fiderei troppo nemmeno dei titoli di Stato. comprate case, per abitarle o darle in affitto. l'economia di pietra ha sempre vinto sull'economia di carta. a maggior ragione in tempi di crisi.

*******
p.s.: dopo aver cominciato a parlare di cipro su twitter, ho ricevuto una simpatica minaccia di morte da parte di un sedicente mafioso russo, che vi riporto per conoscenza (morire per twitter è per me la più dolce delle morti, #sapevatelo):


Vlad YagodintsevVlad Yagodintsev ‏@VladYagodintse9h
Ancora una volta, vedo che si scrive merda. Potrai immediatamente morto. Nella tua stupida testa, il proiettile sarebbe.

martedì 26 marzo 2013

√ N'#euro: guerriglieri da tastiera contro il #gombloddoh euromassonico


  1. sto trovando insopportabile la violenza verbale dei grillini no #euro su #twitter e uso troll bombing. temo x terrorismo passo breve. 
  2. presentare dialettica su #euro come armageddon tra Bene (lira) e Male assoluto (€=malvagio&criminale) produrrà violenza fisica #sapevatelo
  3. attribuire a #euro la crisi industriale e occupazionale italiana produrrà violenza fisica dopo quella verbale. impossibile dibattito lucido
  4. su #euro la discussione è economica. economia non è scienza esatta. esistono varie scuole di pensiero. no a demonizzazione manichea.
  5. non funziona così, Bene vs Male: in economia esistono varie scuole di pensiero non c'è da una parte la Bibbia e dall'altra i manigoldi come dite voi
  6. logica delle #BR: il sistema imperialistico delle multinazionali ci opprime. noi buoni reagiamo con guerra santa e morti. logica torna su €?
  7. basta prendere i proclami delle #Br e dove c'è scritto sistema imperialistico delle multinazionali scrivere #euro
  8. la logica giacobina&rivoluzionaria porta a legittimare la violenza contro chi non la pensa come noi. occhio al dibattito su #euro
  9. logica rivoluzionaria: l'euro ci sta uccidendo tu sostieni l'euro tu ci stai uccidendo noi uccidiamo te cose già viste negli anni 70 ocio!
  10. parlare va benissimo. insultare e minacciare e sottoporre a social network mobbing chiunque non sia contro € (e quindi alfiere del Male Assoluto) porterà a violenza fisica
  11. livore dibattito pro/vs #euro nasce anche da assenza di cultura epistemologica degli economisti ognuno convinto di avere la verità rivelata
  12. terribile sospetto malizioso: e se gli infuocati giovani anti #euro fossero strumentalizzati in guerre accademiche tra economisti? :-)
  13. #euro fight club: teorie scientifiche sono falsificabili altrimenti non sono scientifiche. e l'economia non è nemmeno una scienza esatta
  14. dice il crociato anti euro: ma noi ci abbiamo i grafici! a parte che di grafici ce ne sono à la carte per ogni bisogna,  i dati si possono interpretare in tantissimi modi ovvero i fatti non si spiegano con una teoria sola
  15. ogni fatto si interpreta alla luce di una teoria e le teorie possono essere diverse questa è la base della #epistemologia
  16. i dati possono essere interpretati secondo una pluralità di teorie scientifiche non è vero che i dati parlino da soli
  17. consiglio agli economisti una robusta iniezione di filosofia della scienza: perché non rendere obbligatorio esame di epistemologia nei corsi di laurea in economia? del resto l'economia è nata come ramo applicativo della filosofia.
  18. consiglio di studiare la nozione di causazione e l'assioma di hume, il "post hoc sed non propter hoc": dal fatto che il fumo segua al fuoco non posso inferire il nesso causale tra fuoco e fumo. dal fatto che ora ci sta l'euro e  siamo in crisi, non posso inferire che la causa della crisi sia l'euro [ovviamente il discorso logico è molto + sofisticato, ma qui siamo al bar]
  19. altro consiglio: approfondire la teoria dei condizionali controfattuali. impossibile dimostrare "cosa sarebbe successo se" [se hitler avesse vinto la seconda mondiale, se l'euro non si fosse fatto, se mia nonna aveva le ruote]. croce riassumeva: "la storia non si fa coi se e coi ma".
  20. e per finire: enfasi su sovranità nazionale (ma de  che) è ricca di antichi echi e porterà a salti indietro nella autarchia anni trenta (segnatevelo)
  21. unica cosa gustosissima dei n'euro: non solo demonizzano (serissimi e senza un briciolo di autoironia, da veri rivoluzionari) chi non vuole il ritorno alla liretta, ma si son subito divisi in varie sette scismatiche che si sono prontamente scomunicate a vicenda, in un profluvio di odio teologico e reciproci anatemi e sfottò :-) 
  22. e ora trollatemi in massa: vi attendo a piè fermo con la risma di lirette che ho stampato stanotte in cantina :)
  23. aggiornamento del 11/11/13. twitter canta, e dimostra dove siamo arrivati con questa deriva anti euro. il tuittatore di mestiere fa il professore alla facoltà di economia dell'università di pescara, dedita alla lotta al PUDE ovvero "partito unico dell'euro": cioè tutti quelli che non la pensano come i pescaresi. ormai si usa un linguaggio da guerra civile, si parla di "collaborazionisti" e "venduti", e chissà mai che dalle parole dei guru qualche ggiovane infiammabile non passi ai fatti...sarebbe un gradito ritorno dei "cattivi maestri".

  1. Quando crollerà l'€ non ci saranno luoghi tanto lontani e sicuri per non poter riacchiappare tutti i collaborazionisti e venduti del PUDE


giovedì 21 marzo 2013

√ i Lirici dell'industria italiana

photo: adesso-online
le svalutazioni competitive della lira hanno impedito lo sviluppo tecnologico e qualitativo dell'industria italiana. se rispetto all'industria tedesca siamo (salvo un manipolo di eccellenze produttive) al terzo mondo lo dobbiamo a quel modello. con l'uso e abuso della svalutazione competitiva della lira abbiamo privilegiato produzioni di bassa qualità, che poi proprio in quanto tali son state delocalizzate. puoi anche rendere competitivo il prodotto con la svalutazione per esportarlo, ma se delocalizzi risparmi comunque sulla manodopera, ancorché sfruttata e non regolarizzata. 

ci siamo fregati da soli. prima campavamo facendo i cinesi d'europa, poi i cinesi (che sono sempre più cinesi di noi) ci hanno surclassato come quantitativi e prezzo. sulla bassa qualità non possiamo competere con gli orientali (cina, corea, india) se non delocalizzando a nostra volta nel terzo mondo o in est europa: e addio all'occupazione italiana. le poche aziende che hanno puntato sull'eccellenza del made in Italy (tipo la ferrari per intenderci) non hanno bisogno della svalutazione competitiva per esportare, e si guardano bene dallo spostare la produzione d'eccellenza fuori dall'italia: sanno che perderebbero in termini di qualità-prodotto e immagine-brand.

insomma la parabola è stata: dalla svalutazione alla esportazione dalla esportazione alla delocalizzazione dalla delocalizzazione alla disoccupazione. aggiungi che il sindacato dal dopoguerra ha difeso posti di lavoro inutili e scarsa produttività nella PA e nelle imprese pubbliche e para pubbliche, come dice il mio amico @cannedcat,  e hai il quadro completo dei nostri guai: recessione produttiva e debito pubblico alle stelle. e pensare che i Lirici rivorrebbero quel modello: svalutazione ciclica, debito pubblico, pasta al pomodoro e sigaretta all'orecchio. l'eterna italia dei ladri di biciclette?

lunedì 18 marzo 2013

della logica e fenomenologia del #demagogo

il demagogo in Italia tira un casino, si sa. ma non da ora, bensì dai tempi degli antichi romani con i loro dittatori,  tribuni della plebe e imperatori prodighi di panem et circenses.

il demagogo è un leader carismatico, ma un carismatico che conta palle in continuazione. il problema è che la prima vittima delle illusioni del demagogo è lui stesso. a furia di raccontare un'inverosimile PlayStation lo scenario diventa allettante e il demagogo vi precipita dentro, non riuscendo più a stabilire un contatto con il mondo reale. anzi coloro che cercano di riportare il demagogo ed i suoi accoliti alla durezza della realtà vengono percepiti come una minaccia e messi a tacere.

ma quali sono i caratteri definitori del demagogo?

anzitutto la politica dell'annuncio: il demagogo si spertica in una serie infinita di annunci
(o come si direbbe oggi narrazioni) allettanti proprio perchè svincolati dalla realtà. con queste facili parole d'ordine e promesse suggestive trascina le masse in un sogno collettivo.

fin qui andrebbe tutto bene se il demagogo fosse minimamente in grado di mantenere le promesse, cosa che ovviamente non è. si pone quindi il problema di come reagire al fallimento della narrazione favolistica, che puntualmente si verifica. la prima reazione è la ricerca del capro espiatorio: il capo ha sempre ragione, non può essere lui ad avere sbagliato. quindi se le cose non sono andate per il verso giusto si è trattato di un complotto, una congiura o comunque di responsablità estranee al leader.

lo stesso capo che aveva trascinato con la sua leadership il popolo dietro di sé facendosi dare carta bianca, ora imputa al popolo o ai corpi intermedi dei suoi pretoriani il fallimento del suo  sogno irrealizzabile. lo stesso leader maximo che aveva minacciato di cacciare a calci nel sedere i suoi ciambellani, ora dà  loro la colpa del suo fallimento. lo stesso accentratore che si è circondato di nani che non gli facessero ombra, ora si lamenta: "sono solo".

da un punto di vista logico siamo di fronte a un dilemma cornuto: o il leader non era così capo come voleva farci credere, oppure era sì capo ma non ha cavato un ragno dal buco, e ora cerca una facile via di fuga attraverso il comodo capro espiatorio dei suoi famigli.

un altro criterio definitorio del demagogo è quello che potremo chiamare alla napoletana "chiagne e fotte". per il Nostro si tratta di fare ciò che gli pare, per poi piagnucolare in modo vittimistico di fronte al benché minimo appunto. insomma chi critica il re è contro il re, questa è un'altra regola cardine della demagogia. il demagogo si dice quindi perennemente e profondamente e personalmente offeso dalle critiche che riceve dai suoi oppositori e persino dai suoi amici o alleati, che egli teme sopra ogni altra cosa se muniti di spirito critico. offeso sì, ma non perde occasione per offendere schernire e denigrare i suoi avversari. in questo modo con grande abilità il demagogo trasforma ogni critica in un'occasione per chiamare a raccolta  a sua difesa  il branco, che sbrani i critici dell'intoccabile sovrano.

dove crolla il demagogo? questo è l'ultimo carattere definitorio. il demagogo crolla quando è costretto a passare dal piano della fantasia affabulatoria al piano della dura realtà. allora si vede che i conti non tornano e i numeri cantano sì, ma a suo sfavore. seppur in extremis il mondo aprirà gli occhi e si libererà del leader maximo.

ma ora la notizia cattiva è che cacciato il demagogo, ben presto il mondo avrà bisogno di un altro pifferaio magico da seguire: perchè anche in questo caso la storia è ciclica e si ripete in una teoria infinita di corsi e ricorsi. la prima volta in tragedia, la seconda in farsa.

sabato 16 marzo 2013

#Grillo e l'ultimo treno della politica

il grillo in agguato [photo: 123RF]
forse persino Bersani ha ormai capito che con Grillo e il Movimento 5 Stelle è impossibile fare alleanze. la finalità dichiarata dei Penta Stelluti è il superamento della democrazia parlamentare e il rifiuto dei partiti. a questo punto qualsiasi dialogo sembra controproducente e suicida.

ma cosa ci insegna la lezione di Grillo, o meglio del suo straordinario successo elettorale? ci insegna semplicemente che la gente è arcistufa di come i partiti hanno finora interpretato la politica, e ha inviato a lorsignori un potentissimo segnale di volontà di cambiamento. Grillo ha raccolto consensi persino tra quegli imprenditori che oggi invocano che si faccia un governo alla svelta e che l'Italia non vada a carte quarantotto. una parte di elettorato scontento che contraddice se stesso ma non va lasciato inascoltato.

in che cosa il movimento di Grillo può essere rivoluzionario davvero? nel convincere i partiti tradizionali come Pd e Pdl ad un radicale cambio di passo. nel Pd urge un passaggio di mano a Renzi, che porterebbe l'elettorato postcomunista ad allargarsi a fasce liberali e liberiste sottraendo voti sia alla base Pdl scontenta di Silvio sia allo stesso Grillo, e determinando così una mutazione del DNA del Partito Democratico in una vera forza liberal.

anche il Pdl non può aggrapparsi in eterno alla gigantografia di Berlusconi-Silviocè, anche perché  (Dio non voglia, ma) non foss'altro per ragioni anagrafiche prima poi il leader maximo sarà costretto a passare la mano. da partito azienda il Pdl sarà costretto diventare un vero partito di centro destra, pena il suo dissolvimento.

a questo punto forse non saremo mai un paese normale, ma potremmo diventare un pochino meno anormali. e soprattutto questo rinnovamento sarebbe la base per quella colossale operazione di pulizia e smagrimento della politica da tutti auspicata.

questo è l'ultimo treno per il rinnovamento pacifico della politica, treno passato il quale tutto è possibile e si aprono scenari a dir poco inquietanti. Grillo non sarà mai il capotreno come lui forse spererebbe, ma con il suo spauracchio che terrorizza i partiti tradizionali potrebbe essere, senza volerlo, un utilissimo capostazione che fischia la partenza del convoglio. chi si è laureato in Alabama chiama questa cosa eterogenesi dei fini.

il treno sta passando, è l'ultimo, non ne arriveranno altri: o i politici nostrani lo prendono al volo, oppure che Dio abbia pietà della nostra anima.

venerdì 8 marzo 2013

#elezioni e #governo: noi non siamo normali

siamo messi bene. in un paese normale, dopo un risultato elettorale come il nostro il partito di destra si mette d'accordo con quello di sinistra e si fa una grande coalizione. sopratutto se tutti insieme si è ratificato il trattato europeo del fiscal compact, che priva di senso la distinzione tra destra e sinistra in un'ordalia di tagli e tasse per i prossimi 20 anni. e ancor più se oggi serve fare fronte comune per rimodulare i trattati europei.

ma noi non siamo un paese normale.

da noi il partito di destra è un partito azienda usato dal suo proprietario come scudo verso i suoi personali guai giudiziari. dall'altra parte il partito di sinistra ha fatto tutta la campagna elettorale con un motto demenziale, "smacchiare il giaguaro", che adesso rende difficile spiegare ai suoi elettori che bisogna diventare l'amico del giaguaro.

il terzo partito emerso dalle urne, il Movimento 5 Stelle di Grillo e Casaleggio, non ha invece alcuna intenzione di sporcarsi le mani a governare. preferisce logorare le altre forze politiche in una lunga guerra di posizione, volta al superamento della forma partito novecentesca e all'instaurazione di una fantomatica democrazia diretta (anticostituzionale e oggettivamente eversiva) web 2.0.

purtroppo Bersani non ha capito. non ha capito la natura dadaista del movimento di Grillo e Casaleggio e non ha capito che vogliono prenderlo in giro per gettarlo nel ridicolo. non avendo capito si rende ridicolo da solo senza bisogno che ci pensino altri.

a questo punto se il partito di destra e quello di sinistra non vogliono mettersi d'accordo è meglio tornare subito alle urne. subito, prima cioè che Grillo guadagni nuovi consensi e anzi approfittando dell'intrinseca debolezza del suo esercito parlamentare, molto simile all'armata Brancaleone. per avere chance di successo il partito di destra e quello di sinistra dovranno rinnovarsi e presentare idee e facce nuove: e qui grillo sarà servito eccome, non si butta via niente...

non c'è tempo da perdere. ogni giorno che passa l'Italia si avvicina al baratro della Grecia. se vogliamo veramente rinegoziare i Trattati europei c'è bisogno di un governo forte e di un interlocutore affidabile, dotato di una robusta base parlamentare.

l'alternativa è uno splendido suicidio del sistema paese, che aprirebbe a scenari imprevedibili e - il ciel non voglia - forse financo novecenteschi.