martedì 24 dicembre 2013

i #marò? con l'arbitrato #ONU sarebbero a casa da mesi. parola di giulio #terzi

Giulio Terzi si dimette da Ministro degli Esteri, Camera dei Deputati, 26/03/13
Photo: AdnKronos
«Con l’arbitrato
i due marò sarebbero
a casa già da mesi»

DI SUSANNA PESENTI
L'Eco di Bergamo, 24/12/13

L’ex ministro Giulio Terzi torna sul caso dei militari bloccati in India:
«Scelta una via errata, dando per scontate garanzie mai ottenute».
Il pensiero a padre Dall’Oglio e a Lo Porto, ancora sotto sequestro

Nella sua casa romana, il
pensiero di Natale di
Giulio Terzi, ex ministro
e ambasciatore,
«va ai nostri connazionali in pericolo,
speriamo non di vita. Di
loro non abbiamo notizie da
troppi mesi e non sappiamo
quanto spazio di negoziazione
vi sia. Penso a padre Paolo Dall’Oglio,
grande figura di religioso,
stimato in tutto il Medio
Oriente per le realtà di dialogo
create in Siria, e per la voce alzata
per i diritti della persona fin
dall’inizio della repressione di
Assad. Lo conobbi alla Farnesina
e ne rimasi molto colpito per
la fede e la cultura. Credo che
molte preghiere si leveranno
per lui in questi giorni. L’altro
caso non risolto è quello di Giovanni
Lo Porto, sequestrato in
Pakistan due anni fa. Anche per
lui si sono attivate tutte le reti
possibili».

Ma il tempo passa...
«In questi casi si può valutare
solo conoscendo in dettaglio e
in tempo reale gli andamenti
delle trattative. E in situazioni
così delicate, chi opera deve
mantenere il silenzio. In difficoltà
ci sono anche tremila italiani
detenuti all’estero, assistiti
per quanto possibile dalla nostra
rete consolare».

Ha in mente casi particolari?
«Ci sono connazionali finiti in
carcere dopo processi non limpidi,
che meriterebbero una revisione.
Un caso di palese iniquità
del processo, violazione
della convenzione di Vienna
sull’assistenza consolare, scarsa
trasparenza degli organi giudicanti,
incapacità di produrre
prove informate è quello ad
esempio di Chico Forti, che per
una serie incredibile di circostanze
è stato condannato all’ergastolo
e ha già scontato 14 anni
in un carcere della Florida. C’è
una mobilitazione in atto, che
prende forza anche dalla pubblicazione
di un libro documentatissimo
della criminologa Roberta
Bruzzone,”Il grande abbaglio”,
ma occorre anche continuare
la presa in carico politica
».

E poi ci sono i marò, che campeggia-
no sulla sua pagina di Facebook e
per i quali chiede, attraverso la Re-
te, auguri virtuali.
«Sul blog da sempre tengo vivo
il tema, anche se non è l’unico
di cui mi occupo. Questo thread
riservato alla catena degli auguri
in pochi giorni ha già raccolto
11 mila “mi piace”, 200 mila persone
hanno visto il singolo post,
abbiamo registrato oltre 4.000
condivisioni su bacheche di altri
e i commenti sono alcune centinaia.
Sono stato fin troppo
“identificato” con questa vicenda,
ma ripeto che non solo li
hanno rimandati in India, illegittimamente
per l’ordinamento
italiano, per affrontare un’indagine
politicizzata al massimo
nel contesto preelettorale di
quel Paese e per essere sottoposti
a una Corte speciale di cui
sappiamo poco. Mese dopo mese,
si conferma che nessuna delle
ferme garanzie che dovevano
essere ottenute dagli indiani
prima di quella avventata “riconsegna”,
non è mai stata ottenuta,
e neanche negoziata».

Ma quando li hanno rimandati, co-
me dice, lei era ministro degli Esteri.
«Infatti è stato un errore, io ero
contrario, e come è finita lo sanno
tutti. Perché, da marzo, la
linea è stata: “Affidiamoci alla
giustizia indiana, confidiamo
sulla loro comprensione”? Per
dimostrare ”continuità” ed evitare
di riconoscere quel drammatico
errore commesso su impulso
di chi era coinvolto soprattutto
nell’aspetto economico
della questione. E si é lasciata
perdere la strada maestra dell’arbitrato
internazionale obbligatorio».

Perché ritiene che l’arbitrato sareb-
be stata la scelta migliore?
«Scegliendo l’arbitrato internazionale,
i nostri due uomini sarebbero
tornati a casa da mesi,
e avremmo ottenuto da un’autorità
giudicante Onu una decisione
sull’intera questione».

E i rapporti con l’India?
«Sarebbe stata un’opzione infinitamente
migliore, anche per
il mantenimento di buoni rapporti
con l’India. E rinunciamo
all’azione internazionale, suggerita
dai giuristi di mezzo mondo
per il timore che il solo fatto
di adire la Corte di arbitrato obbligatorio
possa rendere più spigolosi
gli acquirenti indiani di
materiali per la Difesa».

Sta dicendo che per non perdere
l’affare, lasciamo perdere gli uomi-
ni?
«Non esistono precedenti di Paesi
che non solo non agiscono di
fatto, ma che non agiscono neppure
in via di diritto, per la tutela
della propria sovranità e le Forze
armate ne sono espressione.
L’Italia ha ricorso in decine di
casi, negli ultimi anni, in sede
internazionale, anche per casi
assai meno rilevanti, senza che
i rapporti con i Paesi oggetto
della controversia ne risentissero».

Italiani all’estero: sembra stia tor-
nando un’epoca di emigrazione. Co-
me vede la situazione?
«C’è una generazione che prima
è andata all’estero da studente,
ora va in cerca di lavoro. E non
riguarda più solo il comparto
scientifico, ma tocca ormai tutti
i mestieri. Andare apre nuove
opportunità, ma queste energie
devono restare in contatto con
l’Italia, non essere perdute. Per
questo una rete diplomatica di
assistenza forte è importante».

Lei continua a essere attento osser-
vatore della realtà internazionale,
atlantica ed europea, in rapporto
all’Italia. Come vede il momento?
«Non bello. La tempesta sull’uso
dei dati informatici non è finita,
la cascata di informazioni continuerà,
il disegno è preordinato
e concordato per indebolire la
capacità di Intelligence e creare
difficoltà nell’alleanza atlantica.
Si stanno chiarendo ruolo e a
responsabilità di certi Paesi insulari.
Occorre collaborazione
e chiarezza riguardo agli obiettivi
dell’attività di Intelligence:
antiterrorismo, sicurezza, difesa,
senza sconfinare nella competizione
industriale. L’Italia
deve fare attenzione che certe
ferme prese di posizione di Berlino
e Parigi non preludano ad
accordi che taglino fuori l’Italia.
Dobbiamo essere inclusi nei
gruppi ristretti di concertazione.
Sempre per la nostra sicurezza,
potremmo essere anche
meno timidi nel proporci come
guida nelle missioni internazionali.
Infine, in Europa abbiamo
bisogno di più equilibrio e meno
Germania. Guardiamo all’Unione
bancaria, due anni che se ne
parla, la Germania sembrava
convinta. Adesso scopriamo che
il monitoraggio delle banche sistemiche
europee è stato comunitarizzato,
ma l’eventuale salvataggio
delle banche è lasciato
al livello nazionale. La soluzione
concordata per l’Unione bancaria
è di sicuro un passo avanti
per la capacità di sorveglianza
della Bce sulle banche sistemiche
e consente di prevenire crisi
improvvise e inattese, anche se
bisognerà vedere come risponderanno
i mercati a un sistema
molto complicato in un campo
dove le decisioni operative devono
essere immediate per essere
efficaci. Tuttavia c’è un notevole
“problema politico” nell’accordo:
gli squilibri di fondo
determinati dal prevalere della
Germania nelle decisioni a Bruxelles
hanno fatto sì che a una
comunitarizzazione del sistema
di sorveglianza non corrisponda,
come ci aspettavamo e come
doveva essere, la comunitarizzazione
degli oneri finanziari
per eventuali salvataggi di banche
in crisi. Questi ultimi restano
a carico di azionisti, creditori
e governi nazionali. Sempre la
stessa logica, quindi, che non fa
che alimentare risentimenti antieuropei,
e critiche a Berlino,
anche eccessive, di indifferenza
e scarsa solidarietà. Non bene,
per le prossime elezioni europee.
E l’allentamento dell’austerità
adesso sarebbe condizionato
ad accordi-Paese specifici
che, in realtà, sono riforme già
implicite nel fiscal compact. Come
Italia, in questo contesto,
sarà meglio sbrigarsi con le riforme».

A proposito di elezioni europee,
Giulio Terzi si candida?
«È Natale, ora facciamoci gli auguri».

mercoledì 11 dicembre 2013

#forconi & forchette

Forconi e forchette

giorgio gandola
l'eco di bergamo, 12/12/13

Il problema dei forconi non sono le motivazioni, perché chiedere a gran voce un taglio delle imposte che strangolano i cittadini è del tutto legittimo e condivisibile in un Paese nel quale lo Stato è ancora l’unica azienda a non avere fatto sacrifici. Il problema dei forconi non sono neppure le modalità, perché al di là del disagio viabilistico e di deplorevoli eccessi teppistici (da tenere sotto controllo e se il caso da sanzionare con rigore), la protesta viene accettata nella sua essenza. Una frase per tutte sentita alla radio da parte di un automobilista imbottigliato dalle parti di Orio: «Se è per loro accetto di stare in coda». Il problema dei forconi sono i leader, la loro caratura politica, o almeno ciò che dei loro predecessori la storia più o meno recente ci racconta. Provo a spiegarmi. La Life (Liberi imprenditori federalisti europei) è nata in Veneto negli anni Novanta e già allora s’era distinta per un braccio di ferro permanente e frontale con lo Stato, con la Guardia di finanza, con l’Agenzia delle entrate. Il suo leader era Fabio Padovan, che parlava di casta prima del libro di Stella e Rizzo e che incitava alla rivolta civile, esattamente come oggi i suoi successori. Nel frattempo Padovan, sull’onda di quelle proteste di piazza, fu eletto in Parlamento e come spesso accade entrò incendiario e uscì pompiere. L’anno scorso, lui che aveva fatto per primo le barricate in difesa delle partite Iva, votò contro l’abolizione dei vitalizi a Montecitorio perché c’era anche il suo. Come nascere forconi e morire forchette.

martedì 10 dicembre 2013

#berlusconi e la gabbia in cui si è messo da solo



prendo la parola tra il pubblico de "la gabbia", il talk show politico del mercoledì su "la 7" condotto da gianluigi paragone, per dire che berlusconi lasciando il governo si è infilato da solo in un vicolo cieco. dopo la scissione di alfano e i suoi il cavaliere non ha i numeri per far cadere nessuno, diventando sempre più ininfluente sulle dinamiche parlamentari e governative.

l'unica possibilità di contare ancora qualcosa prevederebbe un'improbabile alleanza con i grillini, che però lo vedono come il male assoluto della politica italiana, una specie di anticristo da abbattere senza se e senza ma. della mala parata si è accorto seppur in in ritardo lo stesso silvio. l'uomo di arcore cerca ora disperatamente di compattare un'armata brancaleone antieuropea saldandosi col movimento 5 stelle, ovviamente la lega, qualche postfascista sovranista e facendo addirittura l'occhiolino a SEL.

fosse rimasto al governo, avrebbe fatto ballare la giga al povero letta, e dato non poco filo da torcere allo stesso renzi. il "segretario fiorentino" ora invece ha campo libero per imporre al governo il suo programma di riforme, mentre "forza italia" si consuma in un'inutile opposizione senza sbocchi.

martedì 3 dicembre 2013

#twitter: il fight club 2.0?

cyberbullismo che passione. mostrare i muscoli, o meglio i denti come fanno i cani prima di azzannarsi tra di loro, è sempre più in voga su twitter e piattaforme affini, infestate da squadre di cazzari devoti all'ultraviolenza verbale. purtroppo sui social si confonde la critica e anche la satira (che ci stanno tutte) con l'insulto e la minaccia. anzi non solo sui social, anche in tv e in ogni forma di comunicazione, politica e non. su twitter come citi temi come l'euro ad esempio o i no tav ti saltano addosso una dozzina di fake e troll. è una strategia scientifica, dietro c'è qualcuno pagato da qualcun altro per fare il cybersquadrista. il tutto porta ad una specie di fight club di dementi, bonificabile solo bannando i teppisti pixelati.
Fight Club [photo: My Bookshelf Review]

chi spende tempo e denaro per inquinare twitter ne ha evidentemente colto la potenza mediatica e la capacità di amplificare parole d'ordine politiche, meglio se estreme, strampalate, paradossali, complottarde ma ad effetto. anche su youtube i video più cliccati e commentati sono quelli sugli alieni che cospirano coi massoni per imporre il signoraggio diffondendo le scie chimiche. sui social si riversa una generazione di scontenti, disoccupati, rivoluzionari da tastiera, onanisti mentali e non, che usano il web come sfogatoio di massa.

va benissimo, intendiamoci, macché censura, tutto fa brodo, anything goes. il fenomeno è anzi parte integrante del fascino trash dei social network. cosa sarebbe twitter senza i flame dove poi tutti si bannano rabbiosamente a vicenda o youtube senza i video demenziali con migliaia di commenti dementi? però è sotto gli occhi di tutti l'impoverimento del dibattito, ridotto a tenzone di lepidezze (se va bene) o di insulti (quando degenera, cioè spesso). 

anche in tv ormai si parla come su twitter, con frasette acidelle e ad effetto. anche quando i tempi televisivi lo consentirebbero (tipo a "porta a porta") non serve argomentare la dimostrazione delle proprie ragioni, importa solo "fare la bella figura" con una battuta da retweet che lasci l'avversario senza parole, al tappeto. alla logica e alla dialettica si sostituisce la retorica gimnosofistica di chi oggi sostiene una tesi e domani la tesi opposta, senza alcuna onestà intellettuale, pur di portare acqua al suo mulino (esempio: "cipro e islanda, due pesi e due misure". ma ce ne son tanti altri). ormai si tuitta anche nella dialettica politica, renzi ad esempio ha successo perché è un grande battutista da 140 caratteri anche nelle sue infinite dichiarazioni tv. del politico si deve dire "che figo" più di "che bravo", lingua sciolta e battuta pronta valgono più di mille programmi di governo.

questo fenomeno di devoluzione della logica e demenzializzazione del dibattito politico-mediatico è destinato a radicalizzarsi sempre più. io che ho capito dove andiamo a finire mi sto preparando: famo a gara de rutti?!?