venerdì 31 agosto 2012

√ There's a storm coming, Mr Wayne

There's a storm coming, Mr Wayne
"There's a storm coming, Mr Wayne. You and your friends better batten down the hatches, because when it hits, you're all gonna wonder how you ever thought you could live so large and leave so little for the rest of us".


"La tempesta si avvicina Mr Wayne. Lei e i suoi amici fareste meglio a serrare i boccaporti, perché quando si abbatterà, vi chiederete tutti come abbiate mai potuto pensare di vivere in tale abbondanza e lasciare così poco per tutti noi altri"

Questa è la frase memorabile, da scolpire nel marmo, dell'ultimo Batman movie, The Dark Knight Rises. Viene sibilata da Selina Kyle (Catwoman, una nociva Anne Hathaway) all'orecchio del milionario Thomas Wayne (Batman, il solito Christian Bale) alla serata di beneficenza della Fondazione Wayne. Un ballo in maschera in cui nulla è come sembra, e al quale Wayne-Batman (l'eroe sacrificale del film) è ironicamente l'unico a presentarsi con la sua faccia. E' la scena più emozionante dell'opera, una quiete apparente carica di presagi di tempesta. Things are moving...le cose si stanno muovendo, e pure in fretta.

Prima, a mo' di trailer, viene proiettata la pubblicità del famoso game Assassin's Creed, nell'ultima versione dedicata alla Rivoluzione Americana, dall'evocativo titolo "Insorgi". There's a storm coming, Mr Wayne...






martedì 28 agosto 2012

√ Industria - Italia: dimenticare la Cina

:La nuova bandiera del mondo? Photo: Alaska

Nel post 
abbiamo evidenziato come solo una ripresa della produttività possa portare il nostro Paese fuori dalle secche della crisi e liberarci dalla malapianta del debito sovrano, o perlomeno alleggerirne il peso. Finita l'illusione che il terziario (ovviamente "avanzato") terziarizzasse se stesso e avesse senso senza primario e secondario, oggi tutti han capito che i motori dell'economia, quelli che innescano anche il ciclo dei servizi e dell'intermediazione terziaria, sono i soliti due, quelli antichi: agricoltura e industria (in Italia abbiamo anche la fortuna di avere una domanda di servizi turistici da tutto il mondo, che dovrebbe stimolare la nascita di una vera e propria industria sul lato dell'offerta; ma non è questa l'industria di cui vogliamo parlare).

L'agricoltura sta vivendo una fase di grande appeal, tanto che i terreni agricoli sono oggi gli unici immobili che non calino ma aumentino di prezzo, e darà un futuro ai giovani che avranno il coraggio di lasciare la suburra della disoccupazione intellettuale per tornare alla terra, madre dei popoli. In questo post, scritto come sempre al bar del web 2.0, ci vogliamo invece occupare della manifattura, che come ben ammonisce Confindustria è imprescindibile per la ripartenza della macchina economica. Hai detto niente, ora arriva la domanda vera: attraverso quali produzioni far ripartire il PIL oggi in recessione?

E qui purtroppo la storia industriale italiana non ci aiuta, dato che fino agli anni Novanta si confidava nel basso costo di produzione e nella svalutazione della lira per l'export, e la ricerca sulle nuove tecnologie e produzioni ad alto valore aggiunto non è mai stata incentivata. In sostanza la nostra industria funzionava finché eravamo noi i cinesi o i serbi della situazione, con salari ridotti rispetto agli altri Paesi occidentali, e potevamo per giunta aumentare la competitività del prodotto attraverso la leva valutaria. Tutto questo appartiene al passato: con l'Euro la pacchia della svalutazione competitiva finisce, nel frattempo, pur non esplodendo i salari netti, cresce a dismisura il costo fiscale e previdenziale del lavoro e le aziende delocalizzano in Paesi a basso costo di manodopera, o importano lavoratori asserviti dalla Cina per farli lavorare sottocosto in Italia presso i loro terzisti. 

Si salva l'eccellenza italiana, le nicchie del lusso e dell'Italian Style in tutti i settori, con prodotti che gli stessi cinesi (quelli ricchi) ricercano sul mercato, dalla moda alla Ferrari, al marmo di Carrara. Oltre a queste nicchie glam, gli orizzonti della produzione sembrano essere legati alle energie rinnovabili da una parte e al mondo internet - telematica - informatica - nuove tecnologie dall'altra. Per quanto attiene all'approvvigionamento energetico, basterebbe pensare all'unità abitativa, o all'ufficio o allo stabilimento come unità non di consumo ma di autoproduzione energetica, attraverso fotovoltaico e geotermico. L'autarchia energetica non è più un utopia, e trascina il tema della riqualificazione energetica del patrimonio immobiliare, con un impatto economico immane che da solo risolleverebbe il PIL, determinato per il 15-20% proprio dall'edilizia. Alle rinnovabili si collega tutta la green economy, come il tema della mobilità elettrica, che sarà la nuova frontiera dei trasporti.

Sul versante telematica, invece, ormai han capito tutti che la diffusione della banda larga consentirebbe di far viaggiare non le persone ma le informazioni e le idee, fluidificando gli scambi e velocizzando i mercati (che son conversazioni). Per  nuove tecnologie s'intendono infine tutte quelle applicazioni ad alto valore aggiunto, dalla meccanica di precisione fino all'elettronica applicata alla produzione industriale, che non sono fungibili e riproducibili in processi a basso costo in quanto "impregnati" di eccellenza umana e ricchi di valore intrinseco. SI tratta di quelle produzioni elaborate nei parchi scientifici e tecnologici, che da noi sono mosche bianche mentre in altri Paesi, come quelli del Nord Europa, la norma. 

Essendo questo un discorso da bar 2.0, lasciamo agli economisti la miglior precisazione dei nuovi ambiti produttivi, e le previsioni sulla crescita del PIL che questi potrebbero veicolare. Una cosa è certa: se pensiamo di continuare con produzioni a basso valore aggiunto e scarsa qualità (Lingotto docet) facendo concorrenza ai cinesi, o agli indiani o ai coreani, la partita non comincia nemmeno, abbiam già perso a tavolino.

lunedì 20 agosto 2012

√ Della doppia preferenza di genere

Photo: Pdbrugherio
perché sono contrario alla doppia preferenza di genere, cioè all'obbligo di indicare per ogni lista o partito candidati maschi e femmine, lasciando poi all'elettore la scelta di quale votare, uno o due, ma se ne vota due devono essere di sesso diverso? premesso che tutto è opinabile, e io non sono tra quelli che han la verità in tasca ma tengo un dubbio nel taschino, ho moltissime perplessità. quindi diciamo che anche questo post non è che un pensierino della sera, anzi un discorso da bar, e proseguiamo con qualche punto o spunto di riflessione senza pretese, in generale e senza riferirsi ai tecnicismi di questo o quel disegno di legge. mi riferisco quindi alle elezioni e alla politica in generale, e ai vari organi rappresentativi, locali e nazionali.

1) la suggestione biblica: maschio e femmina li creò. la DPG mi pare basarsi su un'ideologia di separazione tra i generi, maschi di qua femmine di là, due tribù dalla difficile convivenza cui spetterebbe di diritto paritetica presenza negli organi politici rappresentativi. la mia posizione invece è che esista la specie umana con i suoi generi sessuali, certo, ma dove il genere è un predicato accidentale dell'esser-uomo. in soldoni: mi interessa che mi rappresentino e mi governino esseri umani "fit for office", che siano maschi o femmine è accidentale e secondario. come nella pubblicità progresso, non me ne può fregar di meno se il chirurgo è uomo, donna o magari gay, basta che operi bene.

2) proprio per questo, contesto alla radice qualsiasi "affirmative action" su qualsivoglia predicato accidentale dell'esser-uomo: sesso, età, razza, religione, titolo di studio, censo ecc. 
il politico deve essere una persona che si fa strada per il suo valore, le sue capacità, anche la sua durezza il suo cinismo ecc., senza discriminazioni ma anche senza corsie preferenziali. se si vogliono far esprimere due preferenze sulla scheda, ben venga, ma non capisco perché i candidati preferibili debbano essere di sesso diverso: perché non due uomini o due donne, se quello fosse per avventura il ticket migliore? perché scaricare un uomo o un donna potenzialmente candidabile al fine di questo meccanico dualismo sessuale delle candidature?

3) altro pericoloso corollario: il rischio del voto sessista, con gli elettori che preferiscono l'uomo e le elettrici la donna, e qui torniamo al punto 1) con le due tribù, per cui ribadisco che a mio parere il politico eletto rappresenta tutto il corpo elettorale e non un gruppo, un censo, un sesso, un colore della pelle ecc.

4) sono contrario alle corsie preferenziali e credo nel darwinismo anche in politica: i migliori si facciano strada, anzi le migliori, senza aiutini ma con la forza delle loro proposte. la thatcher, la clinton, golda meyr, rosy bindi o la santanchè non hanno avuto bisogno della doppia preferenza. servono donne con le palle che si fan candidare per il loro valore e non candidature contingentate.

5) se non ora, quando? la politica sta attraversando una crisi profondissima e i partiti sono a caccia di volti nuovi, di rappresentanti della società civile con la faccia pulita e la capa fresca per indurre gli elettori a non lasciare in bianco la scheda o andare direttamente al mare. questo è il vostro kairòs, il momento propizio, donne in gamba orsù fatevi sotto, senza attendere escamotage matematici che vi aiutino a farvi candidare. il parlamento dei "nominati" ha deluso e voi volete l'aiutino? suvvia...

6) ci sono poche donne in politica, lamentano le nuove suffragettes della doppia preferenza: ma siamo convinti che la discriminazione maschilista sia l'unica spiegazione? sicuri sicuri che alle donne piaccia tanto la politica? la politica è guerra, e alle donne la guerra non piace, si sa. la politica è sangue e mmerda come diceva rino formica, e le donne non amano in genere questi materiali. la politica non è uno sport da signorine ma da donne con molti attributi, non ultima la bellicosità: pensate alle signore della politica che ho citato sopra. si attacca, si viene attaccati, insultati, manca poco menati, si fan tutte le ore, sempre in mezzo al casino sociale (se no che politica è?), si vive nell'ansia e nello stress, in un mondo dorato e prestigioso ma in fondo in fondo un girone dantesco, dove non a caso si dice molti per reazione bevano, o tirino, o sregolazzino di qua e di là...mica a tutte piace un mondo così. se elette a roma le signore lasciano la famiglia con tutti gli annessi e connessi, cosa pesante e destabilizzante anche per gli uomini (infatti paion tutti leggermente sciroccati), ancor più per le donne, e qui è inutile far finta che le differenze di genere, in merito alla vita familiare e alla cura dei figli, non esistano: sono le donne per prime a ricordarlo. 

7) quindi una donna per fare politica deve crederci veramente, fare la sua scelta e prendere tutti gli avversari, interni ed esterni, a calci bassi, cosa che peraltro fanno anche i politici maschi da sempre. non ha senso il contingentamento sessista delle candidature: se una donna vuole, scalcia per emergere proprio come fanno gli uomini (anzi si sa che le donne sono di molto più cattive quando ci si mettono): e qui torniamo alla selezione naturale della specie applicata alla politica.

e con questo post ci siamo giuocati per sempre la simpatia femminile...chapeau :)

giovedì 16 agosto 2012

√ Sistema-Italia: debito, colpa e crescita

Titolo di Stato del Regno - Photo: Trend Online
Quando studiosi di scuole diversissime come Paolo Becchi dell'Università di Genova e il duo Giavazzi - Alesina dell'ateneo di Via Solferino sono d'accordo, significa che c'è qualcosa che non va, ed è un dato economico così lampante da essere riconosciuto a prescindere dalle appartenenze ideologiche. La tesi che accomuna commentatori così divaricati è, in soldoni: solo la crescita potrà liberarci dal debito. Il domandone di fondo è sempre lo stesso: come far ripartire l'economia? Dove assestare il mitico calcio alla macchina economica in panne? Il Fiscal Compact diventato legge dello Stato italiano in gran sordina a ridosso della pausa estiva (sì proprio il progetto di uniformazione della politica economica europea partorito da Mario Draghi e tacciato di complotto demoplutomassonico  per la conquista del Vecchio Continente) non ci dà scampo, obbligandoci a raggiungere nell'arco del prossimo ventennio il rapporto del 60% tra debito pubblico e PIL (attualmente al 124%). Il Patto di bilancio prevede che per i prossimi 20 anni il rapporto scenda al ritmo di un ventesimo all'anno sino alla fatidica virtuosa soglia, ergo la ratio debito/PIL deve ridursi del 3,2% ogni anno per colmare il gap del 64% che ci separa dalla felicità economica targata Mario Draghi.

Ma attenzione: se ci focalizziamo esclusivamente sul debito pubblico e la sua indispensabile riduzione, stiamo facendo i conti senza l'oste, ossia consideriamo solo il numeratore e non il denominatore del rapporto DEBITO/PIL. Se infatti il PIL cala (come purtroppo sta accadendo in Italia), il debito sovrano deve calare di più, in termini assoluti, per mantenere il trend del -3,2% annuo e non sballare il rapporto; se per avventura invece il PIL crescesse, verrebbe meglio gradualizzata la purga del debito pubblico. Ecco perché, al di là di ovvie considerazione sul benessere economico, l'Italia è forzata a riflettere sull'incremento del PIL. Se non aumenta il nostro prodotto interno lordo, se non si innesca il ciclo della ripresa economica, hai voglia ridurre il debito con la spending review e vendendo (o tentando di vendere) i gioielli di famiglia con dismissioni e privatizzazioni: rischiamo di cadere preda di una spirale di progressiva scarnificazione dell'organismo statale e spoliazione delle sue proprietà, che non ci basterà mai, kafkianamente, a raggiungere la ratio del 60%, divenuta ormai un totem metafisico paneuropeo.

DImentichiamo quindi la tentazione di soluzioni all'italiana, come la creazione di fantomatici fondi "Italia real estate" che incamererebbero il patrimonio immobiliare pubblico per poi emettere bond garantiti dal mattone di Stato, da scambiare con BOT, CCT e BTP. Al di là della scarsa o nulla resa del patrimonio immobiliare pubblico che renderebbe problematico il pagamento delle cedole, si tratterebbe di un escamotage per comprare qualche anno di tempo, una furbata per convertire il debito da pubblico a para o semi pubblico, portandolo fuori dall'ambito di applicazione del Fiscal Compact con le sue forche caudine del 60%. Ma in questo modo resterebbe intatto il nodo di un sistema-paese "debitodipendente", ossia costretto a fare sempre nuovi debiti per pagare i debiti pregressi, restando in balia dei mercati e della speculazione. Come ben sa la lingua tedesca con la sua unica parola Schuld, la colpa è un debito da sanare, e il debito una colpa da emendare: da questo doppio implicatore logico non usciremo invocando l'italianità perdonista cattolica contro la cupa inflessibilità protestante del Nord Europa, come purtroppo ci è anche toccato di sentire.

Insomma, voltala, girala e pirlala (perdonateci la lombarderia), torniamo sempre al tema della crescita economica come grimaldello per lo scardinamento del rapporto debito/PIL: dobbiamo trovare il modo di non far scendere bensì aumentare il prodotto interno lordo e rianimare la circolazione monetaria, per uscire dal gioco a scaricabarile del debito, palleggiato dalle banche agli Stati che le salvano, per poi tornare alle banche finanziate dalla BCE per comprare debito sovrano per salvare gli Stati. Il debito è ormai un boccone indigesto, masticato e rigirato da una guancia all'altra: dobbiamo sputarlo e disintossicarci con cibo fresco, il denaro fresco che torni a scorrere e pulsare nelle vene dell'organismo economico.

Ma come? Puntando su quali produzioni?

[per il sequel clicca qui]




sabato 4 agosto 2012

√ Dell'amicizia tra belligeranti

Truppe Africa Italiana - Photo: Archivio centrale dello Stato
non c'entra niente ma visto che stiamo divagando...anni fa in vacanza a montecatini (avrete capito che ho il pallino delle stazioni termali liberty) conobbi un anziano generale di corpo d'armata in congedo.

tra i molti racconti di guerra che mi porgeva con la sua squisita gentilezza, il vecchio soldato me ne fece uno che era ad un tempo una grande lezione di vita. poco prima dell'ingresso dell'italia nella seconda guerra mondiale, giovane capitano, gli venne affidato il comando di una guarnigione in un avamposto nell'africa italiana.

a poca distanza c'era un omologo avamposto francese, e i comandi delle due guarnigioni non tadarono a fraternizzare, scambiandosi visite dapprima di cortesia, poi sempre più frequenti e amichevoli. giocavano a whist, bevevano pastis e parlavano della vita di roma e di parigi, delle damine che avevano lasciato in patria e di tutte le cose di cui discorrono i soldati lontani da casa, ingrossando la nostalgia della madrepatria e della civilissima europa che li aveva partoriti.

la sera dell'entrata in guerra dell'italia, con il famoso discorso di mussolini dal balcome di piazza venezia ("la dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di gran bretagna e di francia..."), il comandante francese e quello italiano si trovavano in uno dei loro cocktail pre-dinner, e rimasero impietriti ad ascoltare in diretta alla radio ad onde corte la buonanima, che con la sua arringa alla nazione cancellava le loro speranze di una vita normale per l'immediato futuro.

riscossisi dallo stupore, gli ufficiali di due nazioni ormai in guerra, quasi ridotti alle lacrime, si dissero addio con una virile stretta di mano, e gli ospiti tornarono incolumi nei loro acquartieramenti.

da allora, proseguiva il generale, fummo entrambi ben attenti ad evitare provocazioni e sconfinamenti reciproci, e non venne sparato un colpo tra le due guarnigioni.

ma cosa sarebbe successo - concludeva con un velo di inquietudine il vecchio combattente - se il fronte africano, per avventura della sorte, si fosse incuneato tra le linee italiane e francesi? se ci fossimo trovati in mezzo tra l'afrika korps di rommel e la royal army inglese? se le sorti del conflitto che avrebbero deciso il destino del mondo fossero dipese in concreto anche da noi?

sicuramente noi e i francesi avremmo dovuto combatterci e ammazzarci in una guerra senza odio, anche se avevamo giocato a whist e bevuto pastis insieme...questa la malinconica conclusione dell'anziano generale.

morale: fortuna che oggi guerre non se ne combattono [quasi] più...

mercoledì 1 agosto 2012

√ Loca loca loca! Memorie di un locatore

Shakira in "Loca" - Photo: Famemegazine
Il primo inquilino del mio appartamento nel centro storico di Bergamo bassa è stato un'inquilina. 

***Nome in codice L'Ingegnere***

Trentenne, rampolla della miglior borghesia di San Paolo del Brasile, lavorava alla contabilità di una multinazionale ed era laureata in ingegneria gestionale. Bella ma di una bellezza composta, alta, elegante, sempre in tailleur pantalone nero, o grigio, o blu, segno che sapeva benissimo cosa gli italiani si sarebbero attesi da lei e cosa lei invece voleva offrire loro, un'immagine di professionalità e sobrietà. Inquilina perfetta, si teneva la contabilità da sola autoapplicandosi l'Istat. Dopo aver conquistato l'ammirazione dei condòmini, L'Ingegnere restò nell'appartamento un paio d'anni, per poi trasferirsi e metter su famiglia, lasciando l'alloggio pulito tinteggiato e profumato, da vera signora.

Seguì un medico radiologo, sui 35, single e tormentato.
***Nome in codice RX***

Bravissima persona anch'egli, ma affetto da lieve mania di persecuzione che lo portava ad interminabili richieste di spiegazione e controspiegazione, che lo lasciavano sempre sospettoso e insoddisfatto. RX una volta diede disdetta del contratto per poi rimangiarsela, e faticai a fargli produrre una contro-disdetta scritta per non rimanere tra color che son sospesi. Un'altra volta si scordò l'ubicazione del contatore Enel e mi chiamò a ferragosto per un salvataggio in diretta. Pagava sempre in ritardo, e alle mie richieste di puntualità mi rinfacciava "i 3 mesi di affitto anticipato", fingendo di non sapere che si tratta del deposito cauzionale non imputabile a pigione. Grandi difficoltà anche nel conguaglio finale, in quanto prolungò di una decina di giorni la sua permanenza nell'alloggio, con calcoli e ricalcoli dei dietimi dell'affitto + spese condominiali. In complesso, alla resa dei conti, comunque un buon inquilino.

Dopo di lui venne un ragazzo laureato in ingegneria gestionale, che lavorava anch'egli in una multinazionale.
***Nome in codice L'IngeNgere***

Restò solo 6 mesi, in pratica il giorno dopo il contratto diede disdetta, in quanto L'IngeNgere era abituato a grandi spazi nella sua valle bergamasca e un bilocale non gli bastava. Quando mostravo l'appartamento ai potenziali nuovi inquilini (mi aveva subito autorizzato ad entrare col mio mazzo di chiavi in sua assenza) sembrava il teatro di un toga party, ma si capiva che il casino l'aveva fatto tutto da solo. Decisamente la casa mancava del tocco femminile. Persona correttissima pure lui, pagò la quota di sua competenza di una bolletta dopo mesi dalla risoluzione del contratto.

L'ultima inquilina è una bella ragazza napoletana poco meno che venticinquenne.
***Nome in codice 'A Guagliona***

Laureata in qualche disciplina pedagogico - umanistica, 'A Guagliona è di ottima famiglia anch'ella e lavora in una comunità o qualcosa del genere in provincia. Tiene la casa come una bomboniera, educatissima, gentilissima compitissima nella migliore tradizione della borghesia partenopea. Ogni mese Mammà, puntuale come la Svizzera, fa il bonifico dell'affitto e delle spese da qualche banca borbonica al mio istituto padano. Spero non se ne vada mai, ma qualcosa mi dice che prima o poi farà la fine dell'Ingegnere (il primo) e dovrò cercarmi un nuovo inquilino.

Morale della favola: affittando appartamenti non ci si arricchisce, ma si conoscono persone interessanti. E di questi tempi, scusate se è poco. 


[e ora il video in cui la popstar shakira rilancia a livello internazionale il tema della locazione]