giovedì 16 agosto 2012

√ Sistema-Italia: debito, colpa e crescita

Titolo di Stato del Regno - Photo: Trend Online
Quando studiosi di scuole diversissime come Paolo Becchi dell'Università di Genova e il duo Giavazzi - Alesina dell'ateneo di Via Solferino sono d'accordo, significa che c'è qualcosa che non va, ed è un dato economico così lampante da essere riconosciuto a prescindere dalle appartenenze ideologiche. La tesi che accomuna commentatori così divaricati è, in soldoni: solo la crescita potrà liberarci dal debito. Il domandone di fondo è sempre lo stesso: come far ripartire l'economia? Dove assestare il mitico calcio alla macchina economica in panne? Il Fiscal Compact diventato legge dello Stato italiano in gran sordina a ridosso della pausa estiva (sì proprio il progetto di uniformazione della politica economica europea partorito da Mario Draghi e tacciato di complotto demoplutomassonico  per la conquista del Vecchio Continente) non ci dà scampo, obbligandoci a raggiungere nell'arco del prossimo ventennio il rapporto del 60% tra debito pubblico e PIL (attualmente al 124%). Il Patto di bilancio prevede che per i prossimi 20 anni il rapporto scenda al ritmo di un ventesimo all'anno sino alla fatidica virtuosa soglia, ergo la ratio debito/PIL deve ridursi del 3,2% ogni anno per colmare il gap del 64% che ci separa dalla felicità economica targata Mario Draghi.

Ma attenzione: se ci focalizziamo esclusivamente sul debito pubblico e la sua indispensabile riduzione, stiamo facendo i conti senza l'oste, ossia consideriamo solo il numeratore e non il denominatore del rapporto DEBITO/PIL. Se infatti il PIL cala (come purtroppo sta accadendo in Italia), il debito sovrano deve calare di più, in termini assoluti, per mantenere il trend del -3,2% annuo e non sballare il rapporto; se per avventura invece il PIL crescesse, verrebbe meglio gradualizzata la purga del debito pubblico. Ecco perché, al di là di ovvie considerazione sul benessere economico, l'Italia è forzata a riflettere sull'incremento del PIL. Se non aumenta il nostro prodotto interno lordo, se non si innesca il ciclo della ripresa economica, hai voglia ridurre il debito con la spending review e vendendo (o tentando di vendere) i gioielli di famiglia con dismissioni e privatizzazioni: rischiamo di cadere preda di una spirale di progressiva scarnificazione dell'organismo statale e spoliazione delle sue proprietà, che non ci basterà mai, kafkianamente, a raggiungere la ratio del 60%, divenuta ormai un totem metafisico paneuropeo.

DImentichiamo quindi la tentazione di soluzioni all'italiana, come la creazione di fantomatici fondi "Italia real estate" che incamererebbero il patrimonio immobiliare pubblico per poi emettere bond garantiti dal mattone di Stato, da scambiare con BOT, CCT e BTP. Al di là della scarsa o nulla resa del patrimonio immobiliare pubblico che renderebbe problematico il pagamento delle cedole, si tratterebbe di un escamotage per comprare qualche anno di tempo, una furbata per convertire il debito da pubblico a para o semi pubblico, portandolo fuori dall'ambito di applicazione del Fiscal Compact con le sue forche caudine del 60%. Ma in questo modo resterebbe intatto il nodo di un sistema-paese "debitodipendente", ossia costretto a fare sempre nuovi debiti per pagare i debiti pregressi, restando in balia dei mercati e della speculazione. Come ben sa la lingua tedesca con la sua unica parola Schuld, la colpa è un debito da sanare, e il debito una colpa da emendare: da questo doppio implicatore logico non usciremo invocando l'italianità perdonista cattolica contro la cupa inflessibilità protestante del Nord Europa, come purtroppo ci è anche toccato di sentire.

Insomma, voltala, girala e pirlala (perdonateci la lombarderia), torniamo sempre al tema della crescita economica come grimaldello per lo scardinamento del rapporto debito/PIL: dobbiamo trovare il modo di non far scendere bensì aumentare il prodotto interno lordo e rianimare la circolazione monetaria, per uscire dal gioco a scaricabarile del debito, palleggiato dalle banche agli Stati che le salvano, per poi tornare alle banche finanziate dalla BCE per comprare debito sovrano per salvare gli Stati. Il debito è ormai un boccone indigesto, masticato e rigirato da una guancia all'altra: dobbiamo sputarlo e disintossicarci con cibo fresco, il denaro fresco che torni a scorrere e pulsare nelle vene dell'organismo economico.

Ma come? Puntando su quali produzioni?

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