:La nuova bandiera del mondo? Photo: Alaska |
Nel post
abbiamo evidenziato come solo una ripresa della produttività possa portare il nostro Paese fuori dalle secche della crisi e liberarci dalla malapianta del debito sovrano, o perlomeno alleggerirne il peso. Finita l'illusione che il terziario (ovviamente "avanzato") terziarizzasse se stesso e avesse senso senza primario e secondario, oggi tutti han capito che i motori dell'economia, quelli che innescano anche il ciclo dei servizi e dell'intermediazione terziaria, sono i soliti due, quelli antichi: agricoltura e industria (in Italia abbiamo anche la fortuna di avere una domanda di servizi turistici da tutto il mondo, che dovrebbe stimolare la nascita di una vera e propria industria sul lato dell'offerta; ma non è questa l'industria di cui vogliamo parlare).
L'agricoltura sta vivendo una fase di grande appeal, tanto che i terreni agricoli sono oggi gli unici immobili che non calino ma aumentino di prezzo, e darà un futuro ai giovani che avranno il coraggio di lasciare la suburra della disoccupazione intellettuale per tornare alla terra, madre dei popoli. In questo post, scritto come sempre al bar del web 2.0, ci vogliamo invece occupare della manifattura, che come ben ammonisce Confindustria è imprescindibile per la ripartenza della macchina economica. Hai detto niente, ora arriva la domanda vera: attraverso quali produzioni far ripartire il PIL oggi in recessione?
E qui purtroppo la storia industriale italiana non ci aiuta, dato che fino agli anni Novanta si confidava nel basso costo di produzione e nella svalutazione della lira per l'export, e la ricerca sulle nuove tecnologie e produzioni ad alto valore aggiunto non è mai stata incentivata. In sostanza la nostra industria funzionava finché eravamo noi i cinesi o i serbi della situazione, con salari ridotti rispetto agli altri Paesi occidentali, e potevamo per giunta aumentare la competitività del prodotto attraverso la leva valutaria. Tutto questo appartiene al passato: con l'Euro la pacchia della svalutazione competitiva finisce, nel frattempo, pur non esplodendo i salari netti, cresce a dismisura il costo fiscale e previdenziale del lavoro e le aziende delocalizzano in Paesi a basso costo di manodopera, o importano lavoratori asserviti dalla Cina per farli lavorare sottocosto in Italia presso i loro terzisti.
Si salva l'eccellenza italiana, le nicchie del lusso e dell'Italian Style in tutti i settori, con prodotti che gli stessi cinesi (quelli ricchi) ricercano sul mercato, dalla moda alla Ferrari, al marmo di Carrara. Oltre a queste nicchie glam, gli orizzonti della produzione sembrano essere legati alle energie rinnovabili da una parte e al mondo internet - telematica - informatica - nuove tecnologie dall'altra. Per quanto attiene all'approvvigionamento energetico, basterebbe pensare all'unità abitativa, o all'ufficio o allo stabilimento come unità non di consumo ma di autoproduzione energetica, attraverso fotovoltaico e geotermico. L'autarchia energetica non è più un utopia, e trascina il tema della riqualificazione energetica del patrimonio immobiliare, con un impatto economico immane che da solo risolleverebbe il PIL, determinato per il 15-20% proprio dall'edilizia. Alle rinnovabili si collega tutta la green economy, come il tema della mobilità elettrica, che sarà la nuova frontiera dei trasporti.
Sul versante telematica, invece, ormai han capito tutti che la diffusione della banda larga consentirebbe di far viaggiare non le persone ma le informazioni e le idee, fluidificando gli scambi e velocizzando i mercati (che son conversazioni). Per nuove tecnologie s'intendono infine tutte quelle applicazioni ad alto valore aggiunto, dalla meccanica di precisione fino all'elettronica applicata alla produzione industriale, che non sono fungibili e riproducibili in processi a basso costo in quanto "impregnati" di eccellenza umana e ricchi di valore intrinseco. SI tratta di quelle produzioni elaborate nei parchi scientifici e tecnologici, che da noi sono mosche bianche mentre in altri Paesi, come quelli del Nord Europa, la norma.
Essendo questo un discorso da bar 2.0, lasciamo agli economisti la miglior precisazione dei nuovi ambiti produttivi, e le previsioni sulla crescita del PIL che questi potrebbero veicolare. Una cosa è certa: se pensiamo di continuare con produzioni a basso valore aggiunto e scarsa qualità (Lingotto docet) facendo concorrenza ai cinesi, o agli indiani o ai coreani, la partita non comincia nemmeno, abbiam già perso a tavolino.
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