Forconi e forchette
giorgio gandola
l'eco di bergamo, 12/12/13
Il problema dei forconi non sono le motivazioni, perché chiedere a gran voce un taglio delle imposte che strangolano i cittadini è del tutto legittimo e condivisibile in un Paese nel quale lo Stato è ancora l’unica azienda a non avere fatto sacrifici. Il problema dei forconi non sono neppure le modalità, perché al di là del disagio viabilistico e di deplorevoli eccessi teppistici (da tenere sotto controllo e se il caso da sanzionare con rigore), la protesta viene accettata nella sua essenza. Una frase per tutte sentita alla radio da parte di un automobilista imbottigliato dalle parti di Orio: «Se è per loro accetto di stare in coda». Il problema dei forconi sono i leader, la loro caratura politica, o almeno ciò che dei loro predecessori la storia più o meno recente ci racconta. Provo a spiegarmi. La Life (Liberi imprenditori federalisti europei) è nata in Veneto negli anni Novanta e già allora s’era distinta per un braccio di ferro permanente e frontale con lo Stato, con la Guardia di finanza, con l’Agenzia delle entrate. Il suo leader era Fabio Padovan, che parlava di casta prima del libro di Stella e Rizzo e che incitava alla rivolta civile, esattamente come oggi i suoi successori. Nel frattempo Padovan, sull’onda di quelle proteste di piazza, fu eletto in Parlamento e come spesso accade entrò incendiario e uscì pompiere. L’anno scorso, lui che aveva fatto per primo le barricate in difesa delle partite Iva, votò contro l’abolizione dei vitalizi a Montecitorio perché c’era anche il suo. Come nascere forconi e morire forchette.
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