martedì 2 luglio 2013

#spendingreview o spending deppiù?


L’intervista
Stefano Visalli
[photo: officinedemocratiche]
STEFANO VISALLI
analista di problemi finanziari

«La spesa si riduce
eliminando gli sprechi
Ma servono 5 anni»

Caccia alle risorse finanziarie per coprire i «buchi» che si creano nei conti pubblici magari perché si riducono voci di entrata come Imu e Iva.
È una spirale che va bloccata.
Basta con gli interventi sporadici o d’emergenza: serve, invece, un piano di riorganizzazione
della spesa pubblica a medio raggio, calibrato su un arco di almeno cinque anni, altrimenti la
toppa rischia di essere peggio del buco. È questa l’analisi di Stefano Visalli, analista di McKinsey
& Company, nota società di consulenza per la gestione di problemi finanziari e societari. Vissalli ha, tra l’altro, fatto parte della Commissione ministeriale per la revisione della spesa tra il
2007 e il 2008 e di fronte alle polemiche di questi giorni taglia corto:
«I centri di spesa – spiega – sono tanti e ramificati in ogni
livello dell’amministrazione pubblica. Basterebbe razionalizzarli, senza intaccare la qualità
dei servizi, per avere a disposizione trenta miliardi l’anno di
nuove risorse a disposizione dello Stato. Ma invece si preferisce
correre sempre dietro all’emergenza. Per non cambiare davvero le cose. L’emergenza rischia
di essere un alibi».

Spending revew, tagli alla spesa,
sua riqualificazione. Come e dove
trovare i soldi?
«Prima di tutto una doverosa premessa. Quello che è emerso
con estrema chiarezza dal lavoro fatto, a tale scopo, sia dalla
Commissione istituita dal compianto ministro Padoa Schioppa nel 2007 sia da quello svolto,
più recentemente, dai tecnici incaricati dal ministro Giarda è
che lo spazio per riorganizzare la spesa è uno spazio molto importante. Lo confermano anche le analisi
di McKinsey portate a termine in altri Paesi».

«Importante» nel senso
del valore economico?
«Sì. Non è difficile immaginare che questa riorganizzazione potrebbe liberare risorse per una trentina di
miliardi l’anno».

Due punti di Pil?
«Esatto ma il problema è che riorganizzare la spesa pubblica
vuol dire ristrutturare le modalità di erogazione dei servizi. Attenzione: non meno servizi ma
rivedere come questi vengono offerti».

Possiamo fare qualche esempio?
«Prendiamo il caso delle Prefetture, ma questo potrebbe valere
per qualsiasi altra "agenzia" erogatrice di servizi. Noi oggi abbiamo una Prefettura in ciascuna
provincia e il personale che vi lavora è più o meno indipendente dal numero degli utenti serviti.
Anche le cose che fa ogni Prefettura sono, più o meno, indipendenti dalla tipologia della provincia in cui si trovano ad operare questi uffici. Se uno ripensasse alla loro organizzazione, si
dovrebbe chiedere: "Ma quali sono le cose che effettivamente servono
nella mia provincia e quali, invece, vanno studiate per la popolazione di Roma?". Se
si ragionasse così ci accorgeremmo facilmente che un buon 30% delle attività svolte potrebbe essere razionalizzato. Una razionalizzazione che, col trascorre del tempo,
porta a risparmi ed economie di scala».

Il problema, allora, è come condurre in porto questa riorganizzazione?
«Certo, non si può procedere per decreto. Bisogna entrare nel
merito, rivedere la situazione, ristrutturare e riorganizzare, esattamente come farebbe una qualsiasi azienda. Gli spazi per operare e risparmiare ci sono. Peccato che questi stessi spazi non
possono essere usati per coprire l’Imu o l’Iva».

Perché?
«Perché bisogna ragionare in una prospettiva di cinque anni
con processi di riorganizzazione calibrati per questo arco temporale. Fatto questo, alla fine ci
si ritroverà con una trentina di miliardi di spesa in meno che
potranno essere reinvestiti proprio nei servizi. Ragionare sull’immediato, con la caccia alle
coperture di Iva e Imu, non mi sembra serio. Se lo si fa con questa enfasi e insistenza è solo perché la politica, in realtà, non vuol cambiar niente».

Forse l’emergenza incalza?
«Non credo che sia così. Penso invece che sia più difficile fare le
cose di cui ho parlato prima piuttosto che operare con i soliti tagli lineari a tutti gli enti statali. Verificare nel dettaglio quando, dove e come si spendono i soldi dei cittadini è una strada più ardua. Tocca interessi
concreti. Invece tagliare un po’ a tutti si tramuta nella solita, neutra, operazione contabile.
Quindi si preferisce percorrere la via più facile. Quella che, di fatto, non rompe gli equilibri e
che soprattutto non si fa nemici».■

Daniele Vaninetti
L'Eco di Bergamo, 03/07/13

Nessun commento:

Posta un commento