Giscard: una crisi pilotata
L’Europa ne uscirà tra 10 anni
«Bisogna ritrovare uno scopo, una direzione di marcia. Torni l’asse Parigi-Berlino
Dopo la Grecia potrebbero attaccare l’Italia e la Francia. Letta? Una buona scelta»
DI EMANUELE RONCALLI
Valéry Giscard d’Estaing (photo: hellenandchaos) |
L'Eco di Bergamo, 22/06/13
Lo stile, impeccabile, è quello di sempre. Giacca slim, pantaloni a sigaretta che lo rendono
ancora più alto e regale. Ma è il
viso lungo, affilato, con quegli
occhi piccoli e il sorriso a labbra chiuse – quasi un marchio
di fabbrica – che pare intramontabile.
Valéry Giscard d’Estaing, 86
primavere, è sempre quello degli Anni Settanta, quando con
Helmut Schmidt (allora entrambi erano ministri delle Finanze) iniziò a parlare di unificazione monetaria europea.
Ma di lui molti ricordano l’entrata in scena come scalpitante presidente. Lo incontriamo alla Nunziatura apostolica di Francia, dove è stato invitato in occasione dello scoprimento di un busto di
Papa Giovanni, realizzato da Carlo Balljana, presente il nunzio monsignor Luigi Ventura, il
ministro degli Interni francese Manuel Valls, una delegazione bergamasca con l’arcivescovo
Gaetano Bonicelli, il nipote di Giovanni XXIII, Beltramino Roncalli, Emanuele Motta, Franco Ghilardi.
E Giscard d’Estaing appare subito disponibile a rispondere ad alcune domande sul Vecchio
Continente attanagliato da forti crisi.
Presidente, lei è pessimista o ottimista sul futuro dell’Europa?
«Non è questo il problema. Non è questione di essere pessimisti o ottimisti. Bisogna avere un obiettivo chiaro, una direzione chiara. L’Europa non può vivere alla giornata, anche con posizioni
contraddittorie e confuse, occorre avere una direzione forte o sale il malcontento della
gente, bisogna dire quale obiettivo ci poniamo e perseguirlo.
In poche parole in questo momento l’Europa soffre soprattutto
per non avere uno scopo».
Per la gente l’obiettivo è il lavoro
che sembra mancare ovunque.
«Questa è
una conseguenza.
Nessuno
ha deciso di ridurlo, è l’effetto
di una situazione generale.
Per raddrizzare questa situazione occorrerà una decina di
anni con politiche economiche e finanziarie europee».
Da dove nasce
questa crisi?
«La crisi è una
crisi bancaria.
Ma non dell’euro. Il lavoro delle banche è stato per alcuni
versi sregolato,
molto speculativo.
E come ho detto anche in altre occasioni,
il lavoro delle banche
americane
e delle “officines”
(società
segrete,
ndr) è stato quello
di organizzare la speculazione in Europa».
Un progetto, un’agenda pianificata ai danni dell’Europa?
«L’ho detto, parlando di una
mano anonima dei mercati con
l’obiettivo di portare a una demolizione controllata dell’euro: prima attacchiamo la Grecia, poi l’Italia e poi la Francia».
E per l’Italia cosa vede?
«Intanto vedo con positività la
Valéry Giscard d’Estaing mentre presiede la Convenzione europea L’ex presidente francese alla Nunziatura apostolica di Francia L’ex cancelliere Helmut Schmidt
scelta del vostro nuovo presidente del consiglio, Enrico Letta. Lui è giovane».
Veniamo all’asse franco-tedesco.
Lei ha incarnato con il cancelliere
Helmut Schmidt una delle coppie
mitiche degli anni d’oro delle relazioni tra Francia e Germania.
Cosa ricorda di quel periodo che
potrebbe essere applicato oggi fra
la Merkel e Hollande?
«Ne ho parlato pubblicamente
poche settimane fa. C’è molta
comunicazione, ma poco lavoro.
Helmut ed io avevamo fissato
una regola, alla quale ci siamo
tenuti durante i sette anni: e
cioè che mai una dichiarazione
dell’uno fosse diversa dell’altro.
Sarebbe un buon esempio su
cui tornare».
Tra Francia e Germania non corre
buon sangue?
«Parigi e Berlino dovrebbero
essere partner, non avversari,
l’antagonismo dà una brutta
immagine dei due Paesi che sono i principali in Europa.
Il mondo è cambiato, siamo già
troppo piccoli. Nel 2040 ci saranno nove miliardi di abitanti
nel mondo.
Né Francia né Germania rappresenteranno l’1% della popolazione globale.
Se questi due Paesi competono,
non ci sarà nessuna Europa, ma
ci sarà una raccolta di Stati.
Mentre si hanno grandi Paesi
come la Cina. Così l’Europa
sarà una sorta di frammentazione».
L’Europa è ancora un cantiere in
costruzione?
«Credo sia relativamente facile da fare, non senza però dare
un tempo ragionevole: il 2030.
Bisogna fissare un obiettivo
economico e sociale: avere la
stessa moneta, lo stesso equilibrio di bilancio e la stessa fiscalità, la stessa tassazione nei
prossimi quindici anni. E bisogna cominciare subito.
La fiscalità è considerata da
tutti come un attributo della
sovranità. Occorre ridurre le
differenze della fiscalità.
Chi sceglie l’integrazione deve
beneficiare di condizioni identiche in tutta la zona per il lavoro, l’investimento, la ricerca».
La gente è pronta al cambiamento?
«L’opinione pubblica sì, la politica no. E incapace di riformarsi, troppo numerosa. Abbiamo
più parlamentari rispetto agli
Stati Uniti. I tagli vanno fatti
anche qui».■
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