venerdì 12 dicembre 2014

La crisi non molla Servono statisti non «capipopolo»

Il 12 agosto, in un intervento pubblico, il premier, Matteo Renzi, ha dichiarato: «L’Italia è in una situazione drammatica, ma possiamo farcela». La situazione è, dunque, difficile e pericolosa; potrebbe finire anche tragicamente, ma non dobbiamo perdere la speranza. Grosso modo le parole di un medico, che curando un paziente in condizioni gravi e di pericolo, non nasconde la drammaticità del momento, ma conforta i familiari, dicendo che la speranza non deve andare perduta, giacché lui stesso resta fiducioso.

Il dramma troverebbe sintesi nel concretarsi di una condizione di deflazione, ossia: una generalizzata tendenza dei prezzi a flettere. Quando tale sia l’orizzonte economico: sono differiti i consumi in beni durevoli; cala la propensione agli investimenti di impresa; aumenta il peso dei debiti, per chi è ricorso al mercato del credito; i saggi di interesse, ancorché nominalmente molto bassi, possono essere alti in termini reali; i risparmiatori inclinano a divenire rentiers e investono in titoli del debito pubblico; divengono alquanto privilegiati, ma esuberanti come numero, i dipendenti della pubblica amministrazione, garantiti dal posto fisso; e via elencando. In breve: la deflazione si congiunge con un’alta avversione al rischio. Per questo fa scattare il segnale di pericolo. I governi sono allora propensi: a nuovi investimenti pubblici finanziati in disavanzo; a concedere incentivi per nuovi investimenti di impresa; ad allentare i vincoli burocratici; a rendere molto flessibili i contratti di lavoro; a sollecitare la politica monetaria verso scelte così dette «accomodanti», sperando che riprenda un’inflazione, sia pure molto contenuta; a stimolare investimenti esterni e a importare risparmio meno avverso al rischio; a un controllo più rigoroso per contenere la spesa pubblica corrente; e così via.

Resta da capire se tutto ciò sia possibile al governo italiano, al presente. La risposta affermativa è tutta collegata con l’attuazione di riforme strutturali, che per ora hanno difficoltà ad essere approvate dal Parlamento, e che potrebbero richiedere anche qualche trasferimento di sovranità all’Europa.

Certo, potremmo farcela! Non, tuttavia, in virtù di una distribuzione «a pioggia» di un bonus mensile di 80 euro o a motivo della approvazione in prima lettura della riforma del Senato. Non invocando che la Commissione di Bruxelles concordi su nuova spesa pubblica in disavanzo sul fondamento di riforme strutturali solo indicate come buone intenzioni.

Insomma, la crisi si supera e dal pericolo ci si allontana premettendo gli interessi generali del Paese a quelli elettorali della propria parte politica. Secondo esperienza, agendo da statisti e non da capi-popolo. Questo è il problema: direbbe Amleto!

Tancredi Bianchi

L'Eco di Bergamo, 13/12/14

mercoledì 26 novembre 2014

L'astensionismo alle regionali? E' il fallimento del federalismo



http://www.tubechop.com/watch/4217119

A La Gabbia del 23/11/14 si commentano i dati freschissimi della scarsa affluenza alle elezioni regionali in Emilia-Romagna (39,96%, elezioni precedenti 64,93%) e Calabria (44,08%, elezioni precedenti 59,26%).

Il conduttore Gianluigi Paragone mi dà la parola ed esprimo il mio "pensierino della sera". Il tutto sotto l'occhio attento della Viviana Beccalossi, Assessore al Territorio, Urbanistica e Difesa del suolo della Lombardia.

lunedì 3 novembre 2014

Lo Stato dei diritti negati: lavoro, casa, dove siete?



http://www.tubechop.com/watch/3887170

Ospite tra il pubblico a La Gabbia del 2/11/14, il conduttore Gianluigi Paragone mi dà la parola sui dirittti negati: lavoro e casa, con un occhio alle fasce sociali più deboli, quelle che sembrano invisibili agli occhi dei più.

sabato 25 ottobre 2014

Se Renzi si salda con Silvio (attenti a quei due)

SE BERLUSCONI DA' VIA LIBERA ALLE ELEZIONI VOLUTE DA RENZI ANDIAMO VERSO UN BIPOLARISMO “STRABICO”  

Se fosse vero che il recente risveglio di Berlusconi dopo mesi di letargo politico – “io non mollo e se torniamo in piazza possiamo vincere, anche da soli” – dipende dai disastrosi sondaggi che gli hanno fatto vedere, in cui Forza Italia sarebbe precipitata sotto il 12% e si appresterebbe a perdere pesantemente le prossime amministrative, si tratterebbe della miglior conferma che prende sempre più corpo l’ipotesi delle elezioni anticipate. Finora, infatti, la percezione che tutto congiurasse per chiamare gli italiani alle urne al più presto, la davano i comportamenti di Renzi. Per esempio quel cercarsi continuamente un nemico elettoralmente utile – i sindacati per l’opinione pubblica moderata, Confindustria e i poteri forti per quella progressista, ora l’Ue che entusiasma gli uni e gli altri – o fare scelte che fossero altrettanti richiami di consenso vasto (l’articolo 18 a destra, gli 80 euro a sinistra). Così come le forzature dentro il Pd, le comparsate televisive, la convocazione dell’ennesima Leopolda.

Ora, però, è l’avversario-amico di Renzi a dar corpo all’ipotesi che si vada presto a votare. Ormai lo conosciamo, Berlusconi: quando sente odore di competizione elettorale si rimette in pista, lancia segnali rassicuranti sulle sue intenzioni, riaccende vecchie polemiche. Si dirà: ma come, fino a ieri sembrava dirci che vedeva in Renzi la sua continuità, e ora, di colpo, proprio mentre la sua scomparsa dalla scena politica – sostituito da improbabili comparse – gli procura un vistoso (e ulteriore) calo di consensi, si prepara al voto? Sì, è così, e non c’è contraddizione tra le due cose. Perché Berlusconi non ha alcuna intenzione – né possibilità, peraltro – di insidiare il giovane Matteo. E più passa il tempo, e peggio sarà. Dunque, se Renzi sente l’esigenza di trasformare il suo livello di consenso popolare in forza parlamentare a lui vicina – rispetto ad ora in cui, pur avendo conquistato palazzo Chigi e il partito, controlla poco dei gruppi, specie al Senato – perché Berlusconi dovrebbe impedirglielo (ammesso e non concesso che ne abbia realmente le possibilità)? Qualcuno sussurra che il fondatore di Forza Italia avrebbe sentore che il presidente del Consiglio lo voglia fregare, disattendendo il cosiddetto patto del Nazareno. E allora? Intanto se c’è un motivo per cui Berlusconi considera Renzi un se stesso con 40 anni di meno è proprio per la sua spregiudicatezza. Dunque certo non se ne meraviglia. Ma poi, ciò che più conta, è che in cambio della sua “non opposizione”, il vecchio Berlusca non ha nessuna contropartita politica da chiedere, ma solo la salvaguardia della sua persona, della sua famiglia e dei suoi interessi economici. E sa – perché così farebbe anche lui a parti rovesciate – che Renzi lo tutelerà solo nella misura in cui, e fino a quando, quel drappello di parlamentari azzurri gli sarà funzionale.

Certo, le elezioni anticipate interessano a Renzi, non a Berlusconi, e quel presidio parlamentare forzista con il voto non potrà che diminuire. Ma qual è l’alternativa? Nessuna. Senza contare che il successo con cui Salvini sta operando la trasformazione della Lega da partito localista a partito ultra-nazionalista (e quindi nazionale) anti-euro, rischia di togliere altra acqua al bacino già sempre più ristretto di Forza Italia. Dunque, nelle prossime settimane siamo destinati ad assistere ad un ritorno sulla scena di Berlusconi non per tentare l’impossibile recupero, ma per rinnovare il patto con Renzi subito dopo le elezioni. A questo fine, l’accordo sulla legge elettorale si troverà, avendo entrambi la convenienza a sancire la vittoria di Renzi con un premio di maggioranza e a tutelare Berlusconi con uno sbarramento alto in modo da far fuori Ncd e i residui centristi, e impedire nuovi ingressi sulla scena. Già, invece della Terza Repubblica, stiamo sperimentando una sorta di “bipolarismo strabico”, in cui è già deciso chi sta in maggioranza e chi fa l’opposizione, avendo entrambe le parti pieno interesse a rivestire quei ruoli. In questo senso, vale il raffronto tra il Pd renziano e la vecchia Dc che ci siamo permessi di avanzare in questo spazio.

Uno che se ne intende come Marco Follini, ha scritto su Europa che in realtà la somiglianza è labile, perché la Dc aveva scelto la politica di coalizione (anche quando non aveva bisogno, come dopo il voto plebiscitario del 1948) perché non si fidava della possibilità egemonica, avendo coscienza dei propri limiti, mentre Renzi è un solitario a vocazione maggioritaria che il sistema delle alleanze lo rifiuta per principio. Ora è vero che Renzi non è né De Gasperi né Moro, così come è vero, però, che in giro non ci sono né i La Malfa né i Craxi. Ma, soprattutto, questa è una fase storica in cui il Paese è così arrugginito da richiedere prima di tutto un’azione di smontaggio dei sistemi e delle logiche che hanno permeato la Seconda Repubblica. Resta comunque il fatto che il Pd, così come allora la Dc, si è piazzato al centro del sistema politico, occupandone quanto più possibile gli spazi tanto a destra come a sinistra. E così facendo non può che uccidere il bipolarismo, che per definizione richiede che ci sia una sinistra e una destra in competizione tra loro. Esattamente come era nella Prima Repubblica, in cui c’erano predefiniti sia il partito di maggioranza (seppure relativa e dotato di alleanze) sia quello di opposizione.

È un bene o un male per il Paese? Per chi, come noi, ha difeso il sistema proporzionale dal pubblico ludibrio cui è stato sottoposto, e ha criticato il bipolarismo non solo per la versione armata (pro-contro Berlusconi) con cui è stato attuato in Italia, ma in assoluto come sistema non adatto al dna italico, sarebbe facile rispondere che è un bene. Ma attenzione: noi vogliamo costruire la Terza Repubblica, non riedificare la Prima. E dunque sarà bene tornare a ragionare su che razza di sistema politico stiamo andando incontro.

Enrico Cisnetto
Terza Repubblica

sabato 11 ottobre 2014

Pd stai sereno, ci pensa Renzi

È VENUTO IL MOMENTO
DI “ROTTAMARE” IL PD
ULTIMO BALUARDO
DEL VECCHIO SISTEMA

 Sull’articolo 18 le componenti del Pd ostili a Renzi hanno tirato la corda ma non fino al punto di romperla. Tardi, ma appena in tempo, si sono accorte che a strappare gli avrebbero fatto un piacere grande come una casa. Ma cosa faranno di fronte alle prossime provocazioni – che, statene certi, arriveranno presto e ancora più forti – del premier? Se, per esempio, il governo proponesse l’invio di un paio di Tornado a far la guerra all’Isis, resisterebbero alla tentazione di far scoppiare una rissa parlamentare che potrebbe anche avere come esito quello che stavolta è stato evitato?

A noi i partiti liquidi non piacciono, ma veder liquefare il Pd ci piace, e molto. Ma come, si dirà, siete contro i “non partiti” e poi volete che si dissolva l’unico soggetto politico che ha le caratteristiche del partito di massa, o comunque che ne ha conservato le sembianze? No, non c’è contraddizione. Intanto perché il Pd partito vero non lo è mai stato. Ricordate il momento della fondazione nell’ottobre del 2007? Veltroni fu eletto segretario non dal congresso ma dall’assemblea costituente del Pd, un organismo, composto da 2.858 persone, figlio delle nomenclature di Ds e Margherita. E sapete quando si tenne la prima assise congressuale, chiamata chissà perché “convenzione”? Due anni dopo, l’11 ottobre 2009, quando Veltroni si era già dimesso, sostituito da Franceschini, e il governo Prodi era caduto. Nel frattempo hanno inventato le primarie aperte a chiunque, che significa azzerare – anzi, mortificare – il ruolo dei tesserati. E un partito senza iscritti non è un partito. Non è un caso se in coincidenza con il quasi 41% delle europee, cioè il miglior risultato elettorale mai conseguito dalla sinistra (pur in percentuale e non in numero assoluto di voti), si registra il numero minimo di aderenti (100 mila contro il mezzo milione della segreteria Bersani).

Il secondo motivo per cui siamo spettatori plaudenti della parabola “morente” del Pd – sì, è una parola forte, ma la usiamo a ragion veduta – è perché esso contiene ancora tutte le ambiguità insite nel claudicante processo di trasformazione del Pci – che non ha mai metabolizzato fino in fondo il comunismo, tant’è che dovette aspettarne la formale caduta a Berlino come a Mosca per distaccarsene – cui si sono aggiunte le fragilità culturali e politiche della sinistra cattolica e la marginalità delle componenti laiche. Chiudere con il passato in modo definitivo, dunque, gioverebbe alla stessa sinistra, che potrebbe rinascere su basi più moderne.

Infine c’è un terzo motivo per cui guardiamo a quel che accade dentro il Pd con la speranza di chi avendo come propria ragione sociale la nascita della Terza Repubblica, auspica che si chiuda definitivamente la sciagurata stagione politica apertasi nel 1994. Suo malgrado, Renzi ha il merito di aver sepolto il bipolarismo bastardo su cui si è retto il gioco politico di questi vent’anni e a cui gli italiani hanno guardato – sbagliando – come al salvifico sistema che avrebbe rilanciato il Paese debellando la corruzione. Come sia andata, oggi non c’è bisogno di dirlo. Ora, l’irruzione sulla scena di Renzi, pur tra mille contraddizioni, ha consentito di archiviare entrambi i poli: il centro-destra si è liquefatto, del centro-sinistra è rimasto solo il Pd, che a sua volta si sta liquefacendo. E tutto questo è un bene, perché prima consegniamo alla storia (si fa per dire) la Seconda Repubblica e meglio faremo nel comunque difficile compito di uscire dal declino e far rinascere il Paese. Da questo punto di vista, Berlusconi non è più e mai più sarà un problema. Anche perché sembra essere tornato all’idea iniziale di quando, nel 1993, architettò la sua “discesa in politica” e certo non si attendeva il successo e le responsabilità del 1994: a lui basta un manipolo di parlamentari che gli consentano di tutelare se stesso e i propri interessi. Diverso è invece il Pd, che pur avendolo eletto segretario considera Renzi un corpo estraneo e ha una gran voglia di espellerlo per poter tornare come prima. Ma i rapporti di forza sono rovesciati, è Renzi ad avere il coltello dalla parte del manico. Ed è bene che lo usi come un macete. Anche perché non riuscirà mai a farlo suo, il Pd. E quindi tanto vale che lo “superi”. Come questo avverrà è dettaglio di cronaca, che sia nelle cose crediamo non ci siano più dubbi.

Fin dal primo momento, abbiamo detto che Renzi ci sembrava forte nella parte destruens e debole in quella costruens. Dunque non ci aspettiamo che sia lui – se poi invece lo fosse, tanto di guadagnato – l’architetto della Terza Repubblica, cioè di un nuovo ordine politico e di più moderni assetti istituzionali. Tant’è vero che quando si è mosso su questi terreni, dalla legge elettorale fino alla boiata della riforma del Senato, lo ha fatto molto maldestramente. Ma ci aspettiamo invece che sia pienamente capace di dare sepoltura al vecchio sistema. Sì, certo, avendola presa, quest’opera di rottamazione, prima di tutto dal lato delle persone, e con modi spicci, un po’ è sgradevole. Ma, si sa, la politica non è un “tea delle cinque”. Dunque, il rottamatore vada fino in fondo. Poi ne riparliamo.

Enrico Cisnetto
Terza Repubblica

mercoledì 8 ottobre 2014

Marchionne maestro nell'uso degli aiuti di Stato, di qua e di là dall'oceano



http://www.tubechop.com/watch/3706391

Nella puntata de La Gabbia del 5/10/14 Gianluigi Paragone modera il dibattito su Marchionne e il modello-Fiat. Intervengo per ricordare con quali soldi (pubblici) il manager eroe dei due mondi manda avanti la baracca, di qua e di là dall'oceano. All'ubiquo Mario Adinolfi che mi dà sulla voce preciso che gli aiuti di Stato americani sono serviti a salvare i posti di lavoro della Chrysler negli Usa, non certo quelli della Fiat in Italia che sono a rischio.

Ecco il mio live-tweeting dallo studio de La Gabbia (con una piccola spiegazione finale anche per l'On. Emanuele Fiano del Pd ospite in studio, anche lui alquanto fiatofilo):



sabato 4 ottobre 2014

RENZI, È VENUTO IL MOMENTO DI DARE UN SENSO AL SEMESTRE UE: RISCRIVERE TUTTE LE EURO-REGOLE

RENZI, È VENUTO IL MOMENTO
DI DARE UN SENSO AL SEMESTRE UE: RISCRIVERE TUTTE LE EURO-REGOLE

Il semestre europeo a guida italiana ha superato la metà della sua durata senza aver lasciato alcun segno. Né s’intravede all’orizzonte nulla che possa far pensare che nella seconda parte la musica cambi. Ma l’errore grave non è tanto quello di non saper bene cosa mettere in quella pentola, quanto di aver fatto inizialmente credere che ci avremmo cotto chissà quale piatto. La partita europea si gioca molto a Francoforte, poco a Bruxelles e niente nelle singole cancellerie, Berlino a parte. Dunque era non solo inutile, ma anche sbagliato, alimentare aspettative.

Tuttavia, ora si affaccia un’opportunità straordinaria per l’Italia, che Renzi dovrebbe cogliere al volo. Si tratta della finestra che la posizione italiana e francese sul deficit apre ad una riforma strutturale dei trattati europei, una riscrittura finalizzata a rimettere in moto l’arenato – ma sarebbe più giusto dire, mai partito – processo di integrazione politico-istituzionale ed economico-finanziaria dell’area euro. Attenzione, non si tratta di costituire improbabili cartelli mediterranei “espansivi” contro i maledetti “rigoristi” del Nord. Questa è una rappresentazione della crisi europea del tutto fantasiosa. È falsa non solo la contrapposizione Parigi-Berlino di cui si parla, ma anche solo la rottura del tradizionale asse franco-tedesco: basta pensare ai cambi voluti da Hollande nel governo, con l’estromissione degli anti-Merkel, o alla posizione di Moscovici, fino a ieri ministro che sosteneva più deficit e ora commissario Ue che chiede il rispetto dei vincoli di bilancio. È pure falsa l’idea che la stupidità – assolutamente conclamata – dei parametri europei, da quelli di Maastricht fino al “fiscal compact”, si combatta dando gas alla spesa pubblica corrente, come fin qui (e sono anni) hanno fatto i paesi “cicala”, Italia in testa. Ed è falsa la convinzione che in queste ore si sta diffondendo, secondo cui quella della Francia è una prova di forza muscolare, mentre è evidente che si tratta di una mossa di politica interna nel tentativo (disperato) di tagliare la strada all’ascesa della Le Pen all’Eliseo. Per carità, bene che riesca, ma se la destra populista e nazionalista è arrivata ad insidiare socialisti e gollisti è colpa di una politica che, tanto con Sarkozy quanto con Hollande, è stata fallimentare. E non per colpa della Germania.

Chi ci segue sa che la nostra è una posizione “liberal-keynesiana” – e non è un ossimoro, proprio perché non abbiano un approccio dogmatico – ma sa anche che abbiamo sempre sostenuto che non si poteva uscire con nuovi surplus di spesa pubblica dalla crisi causata da un eccesso di debito privato (la bolla immobiliare e finanziaria scoppiata nell’estate del 2007 negli Usa e trasferitasi immediatamente al sistema bancario mondiale) e tamponata con una moltiplicazione di debito pubblico (quello servito a immettere liquidità ed evitare il default creditizio). Comunque non facendo altra spesa corrente e non senza mettere al servizio di nuova spesa in conto capitale – gli investimenti pubblici, quelli sì che sono da fare – il patrimonio degli Stati, sottoponendoli così ad un sano dimagrimento (senza per questo sposare le tesi ultrà dello “Stato minimo”).

Dunque, evitiamo la puerile polemica anti-tedesca o non illudiamoci che domattina possa nascere l’asse Parigi-Roma. Anzi, i francesi ce li troveremo nemici sul vero terreno cui è necessario muoversi: unificare i debiti, trasformando quello medio dei paesi dell’eurozona (attualmente è circa il 90% del pil complessivo) nel debito dei nascenti Stati Uniti d’Europa. Sì, inevitabilmente ci dovranno essere tappe intermedie, ma nella direzione dell’integrazione occorre andare. Bisognava farlo già vent’anni fa all’inizio del processo di creazione dell’euro, tanto più occorre farlo ora se si vuole davvero salvare la moneta unica. Questo è il vero vulnus che mantiene i piedi d’argilla all’eurosistema, non il rigore – eccessivo, dogmatico quanto si vuole, ma almeno in parte necessario – predicato e praticato dalla Germania. Hai voglia ora di dire che la Merkel è cattiva perché vuole l’austerità e impertinente perché ci tratta come studenti a cui chiede di fare i compiti a casa. Hai voglia di evocare lo spettro della troika in nome della sovranità violata. Per sostenere certe tesi, anche quando sono giuste, occorre avere la necessaria credibilità, e Roma in questo difetta clamorosamente.

E allora, Renzi prenda la palla al balzo e predisponga nel tempo che ci separa dalla fine del semestre un road map per una nuova Europa. Si accusa la Merkel di essere una ragioniera? Bene, si dimostri di saper fare politica. Quella alta, con la P maiuscola. L’integrazione monetaria è monca senza quella politica, l’azione della Bce non è sufficiente a surrogare la mancanza di una politica economica comune. L’Europa rischia di affondare nel mare aperto della globalizzazione non (o non solo) per l’ottusità di politiche restrittive in una fase di stagnazione (per noi recessione) e deflazione, ma anche e soprattutto perché non esiste come soggetto unitario. Renzi, che ha il dono – fin troppo usato – di saper buttare il cuore oltre l’ostacolo, prenda un’iniziativa forte: convochi a Roma, nella sua veste di presidente di turno dell’Unione, i leader continentali che pesano e sparigli un gioco in cui rischiamo di finire stritolati prima di tutto gli italiani, ma con noi l’euro e l’Europa nel suo insieme. Se ci sei, batti un colpo, please.

Enrico Cisnetto
Terza Repubblica

                       
                       
                       


giovedì 2 ottobre 2014

Renzi governa con Berlusconi?



http://www.tubechop.com/watch/3676650

Nella puntata de La Gabbia del 28/09/14 il conduttore Gianluigi Paragone mi dà la parola, e dico che il re è nudo, e governa con Silvio...

lunedì 15 settembre 2014

Renzi: dimenticare Cernobbio

 MENTRE INFURIA LA GUERRA TRA I “POTERI DEBOLI” (ENI DOCET) NON BASTA ROTTAMARE CERNOBBIO  

TerzaRepubblica non ha mai creduto ai grandi complotti, e tantomeno ci crede ora che i poteri – tutti, da quelli politici e istituzionali a quelli economico-finanziari per finire con quelli mediatici – lungi dall’essere “forti”, come si insiste a definirli, sono debolissimi, anzi drammaticamente frantumati. Ergo, non crediamo che esista un gruppo di potere, e neppure un singolo “grande vecchio”, che stia organizzando in Italia chissà quali trame, come farebbe credere – anche grazie ad una sequenza temporale che effettivamente induce al sospetto – il combinato disposto tra le recenti inchieste giudiziarie (Eni), il brutale regolamento di conti ai piani alti di quel che resta del capitalismo italico e il repentino cambio di umore di alcuni media su Renzi e il suo governo.

Ma, allontanata l’ombra della dietrologia, rimane necessario analizzare il perché di certi accadimenti, e le loro correlazioni. Partiamo dalla notizia dell’inchiesta giudiziaria che coinvolge vecchi e nuovi amministratori dell’Eni per una fornitura nigeriana. Nonostante fosse cosa già nota, e senza minimamente sottolineare che l’Italia è l’unico paese al mondo in cui si perseguono come reati intermediazioni intercorse in transazioni internazionali che altrove vengono considerate di assoluta normalità, il Corriere della Sera giovedì ha sparato la vicenda in prima pagina. Ma con tutta evidenza, anche leggendo altri articoli il giorno dopo, nel mirino dello scoop (si fa per dire) non è l’Eni ma il presidente del Consiglio, accusato di aver agito con leggerezza al momento delle nomine fatte recentemente ai vertici delle più importanti società a partecipazione del Tesoro.

A parte due osservazioni a margine – perché il Corriere non l’ha detto subito, e perché, in un paese dove la magistratura è decisamente fallace dovremmo trarre deduzioni e conseguenze da un capo d’accusa e non da una sentenza – viene spontaneo associare questa scelta sia all’enfasi con cui si è dato conto delle ruvide dichiarazioni della Bce negli ultimi tempi, dalla “minaccia alla sovranità” al “dovete fare una manovra correttiva”, sia al taglio che gli editoriali del giornale del fu “salotto buono” hanno assunto da un po’ di tempo a questa parte, ultimo quello del duo Alesina-Giavazzi in cui si avvisa Renzi che gli è rimasto poche ore per dimostrare di essere capace di governare, altro che “mille giorni”. Insomma, viene il sospetto che dopo l’entusiastico sostegno iniziale al giovinotto di Firenze, ora si voglia fargli la pelle. Per carità, non saremo certo noi – che quando tutti suonavano la fanfara lo abbiamo criticato, pur costruttivamente – a negare che ci sia una lunga lista di doglianze da rivolgere a Renzi. Ma un conto è alimentare un confronto dialettico, altro è cecchinare. Renzi ha dunque fatto bene a difendere la nomina di Descalzi: così facendo ha difeso l’Eni e il suo management e ha difeso se stesso, ma soprattutto ha fatto capire che la magistratura non può diventare il filtro che seleziona la classe dirigente del paese, che abbia scientemente o meno questo obiettivo in testa.

Enrico Cisnetto
Terza Repubblica

mercoledì 13 agosto 2014

Tavecchio, le banane e i nuovi padroni del calcio

Il prossimo logo della Federazione Italiana Gioco Calcio?
[Photo: Globalist]
Immaginate un mondo dove i calciatori non sono asset delle squadre ma di fondi d'investimento, che comprano il loro cartellino. Immaginate un mondo dove i fondi d'invesitmento prestano i calciatori alle squadre perché questi si facciano le ossa in campo e diventino migliori, per valorizzare l'asset insomma. E le squadre sono ben felici di avere nella loro rosa un campione che non hanno dovuto comprare ma solo allenare e formare, oltre a pagargli lo stipendio. Immaginate che a quel punto siano felici anche le televisioni, che pagano alle squadre i diritti per la trasmissione delle partite. E immaginate un mondo in cui quando il fondo di investimento rivende il cartellino del calciatore (con ogni probabilità ad un altro fondo di investimento), una sostanziosa quota dell'affare (20-30 per cento) venga incamerata dalla squadra che ha fatto crescere il valore dell'asset, pardon del giocatore.

Ecco, se usate bene l'immaginazione capite che oltre le banane di Optì Pobà si apre un mondo nuovo, in cui soggetti patrimoniali esterni alle squadre determinano i destini del calcio (come del resto già accade ora col mondo sommerso delle partite truccate dalla criminalità organizzata italiana e internazionale che specula sulle scommesso). E capite come mai l'elezione del presidente Figc faccia oggi tanto scalpore. In gioco ci sono tanti tanti tanti soldi. E tutti sono contenti: fondi di investimento, squadre, Tv, calciatori a sontuoso stipendio. Fantascienza? Il sistema è tollerato dalla Fifa mentre non piace proprio per nulla alla Uefa, ma dal Brasile è stato già esportato in molti Paesi europei. E ora i fondi puntano al calcio italiano.

Tavecchio, che inizia la sua presidenza con la zavorra di un gaffe razzista fantozziana, è l'uomo debole che lascerà fare ai poteri forti, quindi l'uomo giusto al posto giusto al momento giusto?

Lo scopriremo solo mangiando (le banane).


sabato 19 luglio 2014

Renzi, quella tentazione elettorale

ECONOMIA, RIFORME, EUROPA
​TROPPE DIFFICOLTÀ, C’È IL RISCHIO
CHE RENZI VOGLIA RISOLVERE TUTTO ANDANDO ALLE ELEZIONI

Renzi è un politico che coniuga la capacità tattica, di cui è dotato in modo inversamente proporzionale a quella strategica, con la vocazione del giocatore di poker. Inoltre eredita un sistema politico che negli ultimi due decenni ha creato quella che potremmo definire una “democrazia declamatoria”, basata sulla negazione formale del potere – che ha cancellato il senso della responsabilità politica e creato forme di potere surrettizie quando non occulte – ed esclusivamente orientata alla ricerca e raccolta del consenso, e come tale produttrice di “non governo”. Inevitabilmente, il combinato disposto delle due cose spinge Renzi, il suo governo e l’embrione di sistema di potere che intorno a lui si sta coagulando a forzare la mano e i tempi di un cambiamento in sé salutare ma che richiede, per non essere solo distruttivo, di possedere una chiara visione di ciò che si vuole costruire in alternativa. Definire tutto ciò un attentato alla democrazia e attribuire a questo processo di trasformazione l’obiettivo di arrivare ad una dittatura, come una certo filone mediatico-intellettuale sta facendo, è un evidente forzatura, che tra l’altro finisce col rafforzare proprio chi s’intende combattere. Evidentemente il lupo perde il pelo ma non il vizio: lo si è fatto per anni puntando il dito accusatorio contro Berlusconi, e il risultato è stata benzina nel motore del Cavaliere e costruzione di processi giudiziari che, come dimostra l’assoluzione – ineccepibile – sul caso Ruby, non reggono alla prova della magistratura giudicante.

Dunque, sgombriamo il campo dalle sciocchezze, e parliamo di cose serie. Il vero tema è quello individuato negli ultimi giorni da un paio di articoli pregevoli di Galli Della Loggia e da uno non meno acuto di Salvati: di che pasta è fatto Renzi, cosa ha in testa e cosa serve al Paese in questa fase in cui si gioca tutto, sotto il profilo economico, della tenuta sociale, della modernizzazione istituzionale e amministrativa. Noi siamo convinti che si sia commesso l’errore di non dire la verità al Paese sulle sue reali condizioni di salute e che, di conseguenza, dopo aver evocato mille idee suggestive e usato la tattica di lanciare continuamente la palla in avanti senza badare a far goal, si voglia puntare alle elezioni anticipate nel più breve tempo possibile. Perché da un lato, il Renzi politico, a discapito del Renzi statista, vuole tradurre in forza parlamentare sua quel 41% che – inaspettatamente anche per lui – ha preso alle europee, e perché, dall’altro, il Renzi presidente del Consiglio vuole scavallare il 31 dicembre senza manovre correttive a suo carico ed evitando che le molte contraddizioni in cui il governo è caduto diventino palesi agli occhi dell’opinione pubblica. Anche qui, non c’è da scandalizzarsi se la dimensione mediatica prevale su quella programmatica – purtroppo, succede ormai stabilmente in tutte le democrazie occidentali, sempre più intrise di populismo e peronismo – ma certo non può essere l’unico faro che illumina l’azione del governo e l’unico metro di misura dei suoi risultati. È stato così con Berlusconi, e il disastro è sotto gli occhi di tutti. E, seppure con modalità meno sfacciate, è stato così anche negli anni del centro-sinistra, con l’aggravante che taluni obiettivi erano sbagliati in partenza e che alcune componenti della sua eterogenea maggioranza erano vocate solo all’opposizione quando non all’antagonismo duro e puro.

Ora, però, la somma tra scelte di politica economica di scarso respiro – i cui risultati sono misurabili con i numeri del pil, che definiscono una deludente “non ripresa” – l’affastellarsi di provvedimenti, spesso un po’ dilettanteschi nella loro formulazione, che sono andati a creare un micidiale “ingorgo legislativo” da cui non sarà facile uscire a discapito degli impegni presi (Senato, legge elettorale, titolo quinto della Costituzione, province, ecc.), e gli inciampi sul terreno europeo (“caso Mogherini” ma ancor di più “caso Letta”) che fanno significativamente scrivere di Renzi all’Economist “inexperience, improvisation and moments of vacuity”, sono macigni del cui peso il furbo e veloce presidente del Consiglio intende assolutamente liberarsi. E per farlo ci sono solo due modi: o cambiare registro, o approfittare degli errori altrui per imbastire una bella campagna elettorale in stile berlusconiano. Come? Vittimizzandosi. Se ci pensate, non gli sarebbe difficile. Primo: le opposizioni interne alle due maggioranze, quella sua (i ribelli del Pd) e quella rappresentata dal “patto di sindacato” neanche troppo occulto con Forza Italia (i malpancisti ostili a Verdini e al cerchio magico berlusconiano), lungi dal rappresentare un problema, gli consentono di dire agli italiani che così il Paese non si può governare e che devono dargli una maggioranza salda e tutta sua per poterlo finalmente fare. Secondo: l’ostilità sempre più evidente delle cancellerie europee sarà pure un fastidio al suo ego, ma consente a Renzi di raccontare ai suoi concittadini che quella egoista della Merkel e quei burocrati mangia pane a tradimento di Bruxelles e Strasburgo ci stanno affamando e che occorre dargli più forza per vincerli nella tenzone che contrappone i membri del club dell’euro. Terzo: se poi ripartisse, come non è da escludere, lo spread e la pressione speculativa sui nostri titoli di Stato, ecco un altro buon motivo per sollecitare il consenso di un Paese che avendo scelto – e qui sta il capolavoro politico-mediatico di Renzi di questi mesi – di avere fiducia pressochè cieca nell’unico soggetto rimasto sulla scena dopo la fine della Seconda Repubblica e il fallimento dei governi di transizione di Monti e Letta, non disposto così facilmente a disinnamorarsi. Solo che bisogna far presto. Se non capiamo male, fosse per lui urne anche subito. Ma tra semestre europeo e freno (sempre più allentato, però…) del Quirinale, la data più probabile è quella di marzo 2015. Domani, se ci pensate bene.

Certo, se Renzi imposta una campagna elettorale di stampo berlusconiano dopo essere stato a palazzo Chigi con modalità berlusconiane, può darsi che lui ne esca vincitore, ma di sicuro l’Italia ha tutto da perderci. Per questo speriamo – senza troppa convinzione, però – di sbagliarci.

Enrico Cisnetto
Terza Repubblica

sabato 21 giugno 2014

Grillo vuol fare il nuovo Ghino di Tacco?



http://www.tubechop.com/watch/3107991

La proposta di legge elettorale del Movimento 5 Stelle fa discutere, a La Gabbia del 18/06/14 esprimo il mio parere: si tratta di un modello proporzionale che ci riporterebbe indietro di 20 anni, con Grillo&Casaleggio nel ruolo di Ghino di Tacco che fu di Craxi, che con un partito di minoranza si poneva come ago della bilancia ricattando i partiti di maggioranza. Solo una legge elettorale maggioritaria ci salva da questo scenario che ben conosciamo, e ha bloccato per decenni la politica italiana.

venerdì 30 maggio 2014

Il referendum sull' #euro? C'è già stato e ha vinto #Renzi



http://www.tubechop.com/watch/2951157

A La Gabbia del 28/05/14 tanto per cambiare si parla di Euro. Il conduttore Gianluigi Paragone mi dà la parola e faccio una breve riflessione sulle elezioni europee, che in Italia si sono risolte in un plebiscito pro-euro e pro-Europa. Vittorio Sgarbi e Matteo Salvini ascoltano, Michele Emiliano e Mario Adinolfi concordano.

domenica 25 maggio 2014

sabato 24 maggio 2014

Italia al collasso se lasciasse l'euro

Italia al collasso se lasciasse l’euro
Il fronte anti-Ue frastagliato e diviso

L'Eco di Bergamo, 21/05/14

L’euro ha fatto bene all’Italia e abbandonarlo vorrebbe dire rischiare il default. Lo afferma Paolo Magri, direttore dell’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) di Milano. Per l’analista, che è un bocconiano di Bergamo, decisive saranno la crescita e la lotta alla disoccupazione.

Dinanzi all’offensiva antieuro, l’opinione pubblica fatica a vedere i vantaggi della moneta unica.

«Negli anni ‘90 l’Italia pagava per indebitarsi fino al 12% di interessi. I mercati internazionali – ovvero chi ci prestava i soldi – non si fidavano dell’Italia e dell’uso che faceva della lira. Per quanto paradossale possa sembrare, con l’euro l’Italia ha acquisito quote di sovranità in campo monetario che non aveva più, quanto meno perché adesso partecipa alle decisioni della Bce – invece di soccombere alle decisioni della potente Bundesbank del marco –: anzi, ne esprime il presidente, Mario Draghi».

Uscire dall’eurozona che conseguenze avrebbe?

«Anzitutto sarebbe una decisione da prendere in gran segreto per evitare enormi fughe di capitali all’estero. La lira si svaluterebbe molto, ma i guadagni per le imprese che esportano rischierebbero di essere compensati dall’impennata dei prezzi delle risorse energetiche (che si pagano in dollari). La conseguenza probabilmente più drammatica sarebbe sul debito pubblico. L’inflazione ne ridurrebbe il peso reale, ma la sfiducia dei mercati farebbe schizzare in alto gli interessi, con il rischio di rendere insostenibili gli oltre 2.000 miliardi di euro di debito. Il default dell’Italia potrebbe essere dietro l’angolo».

Non pensa che la contraddizione dell’Ue sia il mancato equilibrio fra ciò che è necessario fare in economia e ciò che è possibile fare sul piano del consenso politico?

«Il caso italiano è emblematico: un Paese fortemente europeista, ma dallo scoppio della crisi il consenso è crollato. Se i cittadini percepiscono solo i vincoli dell’Ue e non le opportunità, è inevitabile che il consenso crolli. Quel che conta è tornare a tassi di crescita sostenuti e combattere la disoccupazione>.

Non pensa che vi sia anche una responsabilità delle classi dirigenti?

«Se si guarda alle varie misure prese dallo scoppio della crisi i poteri della Commissione Ue sono aumentati. L’impressione è che però si vada verso un’Europa intergovernativa in cui i governi prendono – quando trovano l’accordo – le decisioni. Questo perché i Trattati Ue non erano stati pensati per affrontare una crisi così profonda e i governi hanno dovuto prendere l’iniziativa per rispondere con velocità, in assenza di adeguati strumenti giuridici. Ma quando le nuove regole introdotte andranno a pieno regime, la situazione tenderà a riequilibrarsi. Servirà comunque un po’ di coraggio in più».

La Germania è il grande accusatore ma anche il grande accusato.

«La Germania è un grande leader riluttante e intermittente. La sua leadership appare piena quando si tratta di ricordarci di fare i compiti a casa, ma risulta quasi assente nel delineare la strategia di crescita dell’Eurozona. Sbaglia chi critica Berlino, perché ci ricorda –a ragione – che un rapporto debito - Pil che corre verso il 135% è insostenibile. Sarebbe invece bene chiedere con forza alla Germania di dar conto di un decennio di crescita basata sulle proprie esportazioni, con poco riguardo a quelle degli altri Paesi Ue, e di politiche commerciali ed energetiche perseguite secondo un’ottica bilaterale e poco europeista».

Si sta però creando una faglia fra il Nord «buono» e il Sud «cattivo».

«Esistono differenze sul piano culturale, che si riflettono a livello politico ed economico. Il mandato di Schroeder prima e la Grosse Koalition poi sono stati vissuti dai tedeschi come momenti di vera unità nazionale. Questo ha permesso di vincere le resistenze sulla riforma della contrattazione sindacale – avvicinandola al livello delle imprese e calmierando i salari – e di rilanciare la produttività del lavoro. Ha certamente contribuito una predisposizione culturale a cedere sul piano individuale per il bene della collettività, accompagnata dalla promessa di averne un ritorno nuovamente sul piano individuale attraverso uno Stato federale più forte e con un sistema di Welfare efficiente. Un approccio culturalmente difficile da replicare nel Sud dell’Europa, a partire dal nostro Paese».

I partiti tradizionali (popolari, socialisti e liberaldemocratici) con questo voto si giocano tutto.

«Secondo i sondaggi, gli euroscettici dovrebbero assestarsi tra il 27 e il 30%. Al loro interno si trovano partiti che spaziano dal populismo fine a se stesso a forme di nazionalismo acceso alla Le Pen. Difficile immaginare in che modo e su quali temi potranno trovare un accordo stabile. Il rischio è che la loro unità si esprima in un “no” ad oltranza. Di fronte a questa prospettiva, le pressioni per un’ulteriore convergenza tra popolari e socialisti saranno elevate».

A luglio inizia il semestre di presidenza italiana: quali dovrebbero essere le iniziative più opportune in chiave europeista e per alleviare le sofferenze sociali?

«La gente chiede un segnale forte sulla lotta alla disoccupazione, a partire da quella giovanile. L’Ue ha già avviato la Youth Employment Initiative, ma è difficile trovare qualcuno che ne sappia qualcosa. E a ragione. Si mobiliteranno risorse per 6 miliardi di euro, una briciola rispetto al necessario. D’altra parte con un bilancio europeo pari a circa l’1% del Pil dell’Ue, non si può fare molto altro. L’Eurozona dovrebbe potersi indebitare per creare occupazione e opportunità di crescita e fronteggiare choc che colpiscono, incolpevolmente, solo alcuni suoi membri».

Franco Cattaneo

venerdì 23 maggio 2014

La teoria del #gombloddoh



http://www.tubechop.com/watch/2908742

Trenta secondi di purissima teoria del complotto antierlusconiano (pron. #gombloddoh) a La Gabbia del 21/05/14.

giovedì 15 maggio 2014

#Tangentopoli continua: non son marce le mele, è marcio l'albero



http://www.tubechop.com/watch/2850983

Al talk show La Gabbia del 14/05/14 si parla della "cupola" che iintendeva ondizionaaregli appalti di Expo2015 e della sanità lombarda. Il Senatore Roberto Formigoni, per 20 anni imperatore della Lombardia, minimizza. Io mi alzo per una telegraefica riflessione...

martedì 13 maggio 2014

#Gori e la verandeide di #Bergamo Alta







sabato 10 maggio 2014

Manette e ripresa

LE INCHIESTE GIUDIZIARIE,
LA RIPRESA CHE RESTA UNA CHIMERA,LE LACERAZIONI DELLA SINISTRA: TUTTA ACQUA AL MULINO DI GRILLO

Speriamo di sbagliare, ma coltiviamo il timore – e non da oggi – che le elezioni europee siano uno tsunami. Avendo avuto il sopravvento il populismo, e pure di grana grossa, era inevitabile che con il passare dei giorni a godere del vantaggio di un clima di tensione emotiva fossero coloro che più e meglio fanno leva sull’indignazione degli italiani. Grillo in testa, ovviamente, ma anche la Lega che tenta di rigenerarsi sposando la linea anti-euro. Ma se questa era la tendenza già in atto, ora, però, anche i fatti vanno in soccorso del populismo radicale, regalandogli occasioni di acquisizione di consenso insperate.

Ci riferiamo alla nuova ondata di arresti che, come goccia che fa traboccare il vaso, rappresenta in sé, senza neppure indurre ad entrare nel merito di ciascuna inchiesta e dei loro reali fondamenti, appare agli occhi dei cittadini a dir poco devastante. Ma ci riferiamo anche alle notizie, per quanto passate in secondo piano, che certificano che – come ha scritto TerzaRepubblica in tempi non sospetti, anche a costo di beccarsi l’accusa di menar gramo – la ripresa non c’è e che non si vedono i presupposti perché, almeno per quest’anno, ci sia. Come pure ci riferiamo alle sempiterne contorsioni della sinistra che, in tempi di crisi della destra e scarsa rilevanza del centro, rappresentano un ulteriore vantaggio offerto alla marea montante dell’antipolitica.

Vediamo i tre regali a Grillo con maggiore dettaglio. Partendo dalla “nuova Tangentopoli”, l’ennesima. Il paragone regge fino a un certo punto, anche perché quella di oltre vent’anni fa era un’ondata di fango che sommergeva i partiti, qui invece si tratta di vicende legate alle persone. Ma soprattutto, ciò che rende diverso l’oggi è la magistratura. Non perché siano cambiati i metodi – anzi – ma perché nel 1992 una procura, quella di Milano, prese la leadership del mondo togato dando l’impressione all’opinione pubblica di essere un contro-potere organizzato, mentre ora è proprio quella stessa procura a simboleggiare – caso Robledo, ma non solo – le spinte centrifughe che attraversano la magistratura, in una sorta di “tutti contro tutti” lacerante. Tuttavia, proprio questa confusione accresce gli effetti deflagranti delle inchieste in corso, rendendole potenzialmente capaci di assestare un colpo mortale ad una classe politica acerba e ancora in cerca di legittimazione. A tutto vantaggio di chi – Grillo – è nella condizione naturale di cavalcare l’ennesima ondata di indignazione. Anzi, Grillo non dovrà nemmeno scomodarsi troppo, perché i frutti cadranno direttamente nel suo prato. E a tutto svantaggio di chi – Renzi – dovrà scegliere se alzare il tono contro la “vecchia politica”, finendo per pagarne le conseguenze in parlamento (ricordiamoci che le europee non ne modificheranno gli assetti), oppure se pagare il fio elettorale per evitare di alzare troppo i toni della polemica politica.

Il fatto è che questo stesso schema – Grillo che sale, Renzi che scende – rischia di ripetersi per effetto delle notizie che arrivano dal fronte economico. Il calo della produzione industriale di marzo, che porta ad un miserabile +0,1% il risultato del trimestre, smentisce infatti tutte le previsioni, anche le più prudenti, andando a consolidare l’idea che, contrariamente a quanto detto dal governo, la ripresa è di là da venire. La qual cosa diventa un assist per Grillo e un boomerang per Renzi non tanto e non solo perché con questi dati non c’è che da attendersi un rialzo del pil modesto per il 2014 – non è un caso che l’Ocse abbia appena licenziato la previsione di una crescita di mezzo punto contro il +0,8% del governo (lo scarto è di oltre un terzo) – quanto perché non sarà difficile propinare all’opinione pubblica l’equazione “Renzi è uguale agli altri, promette ma non mantiene”.

Enrico Cisnetto
Terza Repubblica

mercoledì 7 maggio 2014

Il testo base del ddl #Riforme Costituzionali

venerdì 2 maggio 2014

#Renzi, il #Mussolini democratico 2.0

Corsi e ricorsi storici. Dai un'occhiata al Tweet di @elpme10 (e alle risposte, tra cui le mie): https://twitter.com/elpme10/status/462335224979128321

#Twitter: How Much and How Often?

Photo: The Vortex
Twitter is a very versatile social platform, used in many ways and styles.

Teens use it as a personal chat, news media as a broadcasting channel, politicians as a personal press agency, influencers and showbiz stars as an interface with their audience, business companies both as a dynamic ad billboard and as an instant customer service, etc.

IMHO posting links to articles can be automated, because it's recognised as a form of news broadcasting. In this case I do recommend answering questions and mentions, but the reply can be delayed a few hours.

On the contrary personal statements, statuses or questions (eg "I'm feeling great" or "Are you ready for my new blog post?") can't be automated, as they need quick interaction with replies from the audience.

Anyway none of your followers will check his TL 24/7, so by tweeting continuously you'll reach potentially all of them, annoying no one. Unless you overflow your TL in frequency of course.

#M5S ed elezioni europee, burattini e burattinai

IL RISCHIO DELLE ELEZIONI EUROPEE  È CHE SI CONSEGNINO A GRILLO LE CHIAVI DELLA POLITICA ITALIANA

Non sarà sfuggito che la modalità con cui Beppe Grillo ha strutturato la sua campagna elettorale per le europee corre su un doppio binario. Da un lato, quello scontato della polemica anti-euro, finalizzato ad intercettare tutti gli italiani – e sono un numero crescente, purtroppo – che non avendo dalla politica nostrana analisi serie su come stanno veramente le cose, e tanto meno risposte ai mille problemi quotidiani, rivolgono i loro motivi di delusione e rabbia verso l’Europa, immaginando che tutti i mali discendano da Bruxelles e Francoforte, o da Berlino se – come ama far credere Berlusconi, non meno guitto del comico genovese – si riconduce ogni scelta europea a quei “maledetti dei tedeschi”. Naturalmente le cose non stanno così, o meglio stanno anche così ma in contesto molto più complesso delle semplificazioni propagandistiche, ma soprattutto non sono quelle sbandierate dai populisti nostrani, di uscire dall’euro o di mandare a quel paese l’Europa e le sue regole (per quanto rigide e spesso stupide), le ricette giuste per uscire dai guai.

L’altro binario su cui si muove il capo dei pentastellati, invece, è quello dell’attacco frontale alla sinistra. Con un linguaggio e degli argomenti (si fa per dire) che non hanno nulla da invidiare all’anticomunismo che per due decenni ha sciorinato Berlusconi. I suoi blitz a Piombino e Siena, nei giorni scorsi, ne sono piena testimonianza, e fanno pensare che Grillo intenda tagliare la strada a Renzi nella corsa al recupero dei voti moderati e qualunquisti che Forza Italia, giocoforza, perderà per strada.

Niente di granché sofisticato, anche se rimane il dubbio che la tattica elettorale, per quanto rudimentale, sia davvero farina del sacco dell’arruffapopoli – il che lascia aperta la domanda sull’eventuale burattinaio e la sua nazionalità – non fosse altro perché si ha l’impressione che essa si collochi nel quadro di una strategia politica, questa sì, meno primitiva e più strutturata. Infatti, è evidente che al di là delle percentuali, il 25 sera i 5stelle saranno i veri vincitori delle tornata elettorale se avranno conquistato in modo inoppugnabile il secondo posto scalzando Forza Italia (ovviamente, non ne parliamo se dovessero battere il Pd, ma questa, per fortuna, resta un’ipotesi remota). Certo, non tutti i risultati saranno uguali: un conto è, per ipotesi, che il Pd prenda il 35% e i 5stelle il 25%, un altro che quei dieci punti di differenza si riducano alla metà o ancor meno. Ma in tutti i casi la conseguenza politica sarà la stessa: per Renzi sarà difficile, per non dire impossibile, tenere a bada tutte le fibrillazioni che pulsano dentro il suo partito, e in particolare nei gruppi parlamentari (che, contrariamente ai ruoli apicali nel Pd e al governo, non sono di sua espressione). Finora lo ha potuto fare minacciando ogni due per tre di andare alle elezioni anticipate, così da spaventare chi sa bene che non sarà ricandidato o comunque sarà messo in condizione di non essere rieletto. Ma dopo le europee, se Grillo avrà tallonato Renzi e ridimensionato Berlusconi, delle due l’una: o si farà la riforma denominata “italicum” (ma non si capisce perché Berlusconi dovrebbe prestarsi a farla passare), e in questo caso il meccanismo di conteggio dei voti, pensato sì per far vincere il primo ma anche per avvantaggiare il secondo (il miglior perdente), non consegnerebbe un quadro politico basato sul patto Renzi-Berlusconi che è la seconda gamba (oltre quella dell’alleanza di governo) su cui si tiene in piedi Renzi, bensì sull’impossibile diarchia Renzi-Grillo; oppure si terrà buona la norma uscita dalla decisione con cui la Corte Costituzionale ha cancellato il “porcellum”, cioè un proporzionale senza condizionamenti, e allora Renzi, che sulla base dei risultati delle europee in un’eventuale elezione anticipata uscirebbe primo ma privo del premio di maggioranza che gli consegni il pallino in mano, sarebbe costretto a fare un governo con Berlusconi (quello con Grillo lo esclude il comico), finendo con lo spaccare il Pd in modo irrimediabile.

Si dirà: basta che Renzi non vada alle elezioni. Certo. Facile a dirsi, meno a farsi. Perché il presidente del Consiglio, uscito indebolito, ancorché primo, dal voto del 25 maggio, e dovendo dimostrare che non c’era bluff elettorale nelle sue mosse di governo di questi mesi – anche questa, cosa non facile – si ritroverà stretto in una morsa politica da cui non sarà per nulla facile divincolarsi. Perché nel frattempo i parlamentari del Pd si sono accorti che non possono essere minacciati più di tanto, come dimostra il caso del “decreto lavoro”, in cui, al di là delle modifiche introdotte, è stata voluta e ottenuta la sconfitta politica del governo. Prove generali di quel che accadrà? Una cosa è certa: Renzi si è fatto più prudente e, su consiglio di Napolitano, più incline alla mediazione. Ma siamo solo all’inizio.

Certo, tutto dipenderà dal voto. Formalmente si voterà per l’Europa e l’euro – e mai come questa volta ce n’è bisogno – ma il vero risvolto delle elezioni sarà nazionale. E dunque, almeno una cosa si può far discendere dalle valutazioni che vi abbiamo proposto: il burattino Grillo è una sciagura. Che, però, non si esorcizza inseguendolo sul suo terreno: quanto a populismo non lo batte nessuno, ormai nemmeno più l’inceronato Berlusconi. Questo, Renzi, bisogna che cominci a metterselo bene in testa.

Enrico Cisnetto
Terzarepubblica

mercoledì 30 aprile 2014

Job Act, ovvero girare intorno al lavoro



http://www.tubechop.com/watch/2713365

Il mitico Job Act di Renzi creerà davvero posti di lavoro? Una mia considerazione a La Gabbia del 23/04/14, con la conclusione del conduttore Gianluigi Paragone: "il lavoro va pa-ga-to!"

domenica 20 aprile 2014

Fuori i mafiosi dal Tempio

Annullata una processione pasquale in Calabria per infiltrazione mafiosa. Il vescovo non accetta l'ordine del prefetto di far portare le statue dei santi dai volontari della Protezione Civile anziché dagli uomini vicini alla ndrangheta. Fioriscono polemiche e commenti. Mi spiace ma questa volta non riesco ad essere politicamente corretto.

Vogliamo dirlo che le mafie nascono tutte come società segrete a sfondo religioso, vogliamo dirlo che i mafiosi sono uomini di religione oltre che di politica e di controllo militare del territorio, vogliamo dirlo che nelle loro case c'è pieno di santi Micheli Arcangeli Madonne trafitte dalle 7 spade Gesù cristi ecc.? Diciamolo, perché se non si recide questo nodo gordiano inutile poi fare le scenette sulle processioni.

Quindi quel vescovo che si fa riprendere mentre i fedeli gli baciano feudalmente l'anello, è quantomeno connivente con un certo andazzo, perchè non venitemi a dire che lui non sapeva cosa ci fosse dietro le processioni. Ma dirò di più se io fossi un cristiano di Calabria, e sapessi come tutti sanno che le statue nelle processioni sono portate dagli ndranghetisti, io a quelle processioni non andrei, mandando quindi un messaggio molto preciso. Finiamola di dire che è colpa del sistema, il sistema è fatto da noi.

Nessuno salverà un popolo dagli oppressori che portano le statue in processione mentre il popolo applaude. Evidentemente a quel popolo va bene così.

Infatti nel paese dove hanno accettato di far portare le statue dalla Protezione Civile, metà popolazione per protesta ha disertato la processione senza mafiosi. È chiaro che quel popolo in realtà è diviso in due popoli, a questo punto bisogna vedere quale dei due popoli prevarrà. Ma questa cosa non la possiamo decidere noi qui dal Nord dove mangiamo la polenta, la dovete decidere voi cari amici del Sud.

La mafia senza il consenso popolare può fare poco, non dimentichiamo  che il boss mafioso Brusca decise di collaborare quando vide che la popolazione siciliana applaudiva il suo arresto. Questo a suo stesso dire fu per lui un grande shock culturale e politico.

È il popolo che deve far fallire quelle processioni infiltrate dalla ndrangheta, cacciando i mafiosi dal Tempio. Basta non partecipare.

sabato 19 aprile 2014

Tecnico, politico o bravo? Il tormentone delle nomine nelle società pubbliche



http://www.tubechop.com/watch/2583077

Ad ogni tornata di nomine dei vertici delle società pubbliche si srotola il tormentone: "Vogliamo i tecnici! Fuori i curriculum! Basta con gli amici degli amici!". Nella puntata de La Gabbia dedicata alle "Poltrone Renzi" dico telegraficamente perché il problema, nelle società partecipate dal Tesoro, è un po' più complesso dell'assunzione di un manager in una società privata...

martedì 15 aprile 2014

Fenomenologia dei black bloc



http://www.tubechop.com/watch/2537442

A La Gabbia il conduttore Gianluigi Paragone mi dà la parola per una breve riflessione sul misterioso e annosissimo fenomeno dei black bloc.

Per approfondire

lunedì 14 aprile 2014

Stiamo Serenissimi

Dei Serenissimi e del loro pittoresco Tanko (buffo ma armato di cannoncino) non si sente già più parlare. C'è una gran voglia, da parte della politica e della stampa, di archiviare l'episodio come esempio di folklore venetista deviato. Trattamento analogo a quello riservato ai Forconi, versione 2.0 dell'eterno inconcludente Masaniello italico.

Sia i Forconi che i Serenissimi ci mettono del loro a ridicolizzarsi, con le loro urla scomposte, l'accento marcato (veneto o meridionale che sia) di chi non ha frequentato l'Accademia, gli slogan ingenui e populisti, le vene del collo gonfie di una rabbia che sfugge a qualsiasi mediazione politica. Eppure sottovalutare questi campanelli d'allarme è un errore imperdonabile. Significa non cogliere i segnali di pericolo che arrivano dal territorio profondo, in preda alla peggiore crisi economica dal Dopoguerra.

L'appello del Veneto indipendentista deve essere raccolto. Non per andare ad un'assurda e improbabile secessione, ma per attuare un vero decentramento funzionale e fiscale. Va applicato il principio di sussidiarietà, che prevede che i soldi vengano spesi dalla politica il più vicino possibile al cittadino, che così può controllare come vengono utilizzate le sue tasse e orientare di conseguenza le sue scelte elettorali. Insomma il principio "pago, vedo, voto" che oggi non è applicato perché i soldi delle tasse finiscono nel calderone romano e perdono tracciabilità. Qualcuno sa a cosa è servita di preciso l'addizionale statale della tassa sui rifiuti? Come sono stati spesi dallo Stato quei soldi?

Nella puntata della trasmissione La gabbia del 06/04/2014, intitolata "Lo Stato nel mirino", prendo la parola per un breve commento su quel che manca ai Serenissimi per essere utili a tutti noi.



http://www.tubechop.com/watch/2528530

domenica 13 aprile 2014

Il mistero misterioso dei black bloc

Graditissimi i vostri commenti e spunti di riflessione, anche qui...

domenica 6 aprile 2014

Renzi ha ucciso Silvio, e il prossimo e' Grillo

«L’allievo ha ucciso il maestro, come in Kill Bill»
L'Eco di Bergamo, 6 aprile 2014

«C’è qualcosa di dramatico sulla scena politica italiana di questi mesi», ci dice Alessandro Amadori, politologo ed esperto di comunicazione, autore di diversi volumi su Berlusconi. «Siamo allo scontro amletico, ai duelli omerici tra big men. Quelli della Seconda Repubblica in confronto erano minuetti settecenteschi».

Perché parla di duelli amletici?

«Stiamo assistendo a una distruzione del sistema che sarebbe parso inimmaginabile dodici mesi fa. I toni sono da scontro per la vita e per la morte (politicamente parlando). E sullo sfondo ci sono macerie politiche, quinte che crollano, come il Senato».

Chi vede come big men in campo su queste distese di macerie politiche?

«Berlusconi, poi Grillo, ma soprattutto Renzi. Se Berlusconi e Grillo sono stati i protagonisti delle ultime elezioni politiche, i protagonisti delle Europee saranno Grillo e Renzi».

Cominciamo da Berlusconi. Il fuorionda tra Toti e Gelmini sembra sintetizzare la situazione politica più di ogni analisi, servizio o intervista…

«Succede così anche nella vita normale delle persone. È quello che viene detto alle spalle che svela i veri atteggiamenti di una persona. Tutti noi siamo oggetti di comunicazioni a doppio livello. C’è una parte nascosta nella comunicazione quotidiana. Chi è più fortunato ha meno sdoppiamento, chi è meno fortunato è soggetto ai rischi del doppio livello».

Triste conclusione…

«Ma è così. Ed è sempre più rivelatoria la comunicazione celata, segreta. È umano. Non è un caso che io nella mia vita mi sforzi di applicare un principio zen: comportati in pubblico come quando sei in privato e in privato come quando sei in pubblico».

Dunque anche lei coglie questa inquietudine in Berlusconi, di cui si parla nel fuorionda?

«Non c’è dubbio: sono vari mesi che Berlusconi vive una condizione di profonda sofferenza in vista della pena da scontare. Soprattutto uno come lui, abituato alla completa libertà di movimento. Questa cosa è un supplizio e una nemesi della vita nei suoi confronti. Sarebbe pesante per qualsiasi leader politico, ma lo è a maggior ragione per Berlusconi».

Passiamo al secondo contendente, Matteo Renzi.

«Renzi e Berlusconi si assomigliano come due gocce d’acqua, soprattutto sul piano comunicativo. Sono uno l’erede spirituale dell’altro, anche se ovviamente politicamente sono molto diversi. Ma dal punto di vista comunicativo c’è addirittura qualcosa di più di una somiglianza: c’è una discendenza. Politicamente è l’allievo che alla fine uccide il maestro, come in “Kill Bill” di Tarantino».

Sempre stando al fuorionda tra Toti e Gelmini, si parla del fatto che quello di Berlusconi per Renzi è stato un abbraccio mortale.

«Certo che è stato un abbraccio mortale. Renzi ha totalmente sottratto la scena a Berlusconi. Ha reincanalato tutta l’energia del Cavaliere. Ha trovato un’operazione di transfert quasi psicanalitica. Ha preso la relazione tra Berlusconi e l’opinione pubblica e l’ha caricata su di sé. Gli ha levato il sangue politico e lo ha svuotato. Renzi è come se fosse stato costruito in laboratorio dall’esperienza comunicativa di Berlusconi. Solo che adesso la sua creatura ha svuotato di energia il creatore e l’ha quasi destinato al museo delle cere. Un destino crudele».

Veramente lo ha anche riabilitato quando sembrava all’angolo…

«Quella è stata un’operazione politica che Machiavelli avrebbe definito un capolavoro. Nello stesso tempo in cui ha fatto rinascere Berlusconi, Renzi lo ha fatto uscire dalla tana da cui la sinistra non riusciva a stanarlo e lo ha ucciso, dal punto di vista politico. Lo ha trasformato in una statua di cera».

Come definisce Renzi politicamente?

«Un predatore della politica. Il modo con cui ha tolto la scena ai suoi avversari è impressionante: non se ne sente più parlare. Lo stesso concetto di rottamazione è il concetto di un predatore. Cosa che non è mai stato in realtà Berlusconi, che tenta più di ammaliare l’elettore o l’avversario politico. Cerca di sedurre e non uccide mai nessuno, nemmeno chi lo ha tradito. Se ci pensa, ha ucciso solo se stesso. Un processo di suicidio politico che merita un libro. Come ha costruito il più grande successo di marketing della storia dell’Occidente è riuscito a creare il più grosso fallimento della storia dell’Occidente».

Rimane il terzo protagonista della scena politica: Beppe Grillo.

«Grillo ha capito tutto, ha capito che Renzi ha trasformato in una mummia, politicamente, Berlusconi, mettendolo in una teca, a futura memoria, ed essendo lui l’oggetto del prossimo processo di predazione si muove scompostamente, combatte come un orso. Da tempo ha capito che la lotta è mortale. Renzi, come ha battuto il Cavaliere, così sta sottraendo il terreno del cambiamento del sistema a Grillo. Ora sta tentando di svuotarlo avocando su di sé il cambiamento del sistema di cui parla Grillo. Come se dicesse: non c’è bisogno di lui, il sistema lo cambio io da dentro il Palazzo. E stando ai sondaggi funziona»

Francesco Anfossi

venerdì 4 aprile 2014

Arrivano i nostri! La Bce si pappa i subprime delle banche

Effetto Draghi sui mercati europei Spread sotto i 160 punti. Borse in rialzo
La stampa tedesca: la Bce è pronta ad acquistare Bond dai privati per mille miliardi

Il piano del governatore: liquidità alle banche perché agevolino il credito alle imprese

Domenico Conti
L'Eco di Bergamo 5 aprile 2014

I tasselli si muovono già da un po’ e l’altroieri hanno cominciato a mettersi in fila. Il piano della Bce per sgombrare la strada dal rischio di una deflazione, frenare l’euro e riaccendere la ripresa passa dal credito alle imprese. Nonostante gli appelli (e gli appetiti) di molti governi per l’acquisto dei titoli di Stato da parte della Bce, il piano che Draghi sta facendo balenare dinanzi ai mercati, con una attenta strategia di comunicazione che già sta producendo effetti, è intervenire invece sui titoli privati. Con l’obiettivo di acquistare dalle banche prestiti a famiglie e imprese in modo da liberare credito per l’economia reale. E i mercati apprezzano: lo spread scende sotto i 160 punti, le Borse sono in rialzo (Piazza Affari + 0,8%)

Lo scenario futuro

Va in questo senso lo scenario, allo studio della Bce, di acquistare «bond» di cui riporta la Frankfurter Allgemeine Zeitung. E non è un caso che i mercati siano in trepidante attesa del rapporto targato Bce-Bank of England che verrà presentato al Fondo monetario internazionale (Fmi) per cambiare la regolamentazione internazionale sugli «Abs» (i titoli garantiti da prestiti e altri asset).

Il linguaggio cifrato di Draghi fa capire che la Bce potrà dispiegare in qualsiasi momento misure convenzionali, come un taglio dei tassi, e continuare a lavorare a interventi non convenzionali che potrebbero delinearsi chiaramente in estate. A Washington, alle riunioni fra l’11 e il 13 aprile, Draghi porterà una proposta di riforma degli Abs che ha pieno «status» europeo e si contrappone agli interessi americani: rivedere la normativa distinguendo fra gli Abs semplici (i «plain vanilla»), garantiti da un mutuo o un prestito a un’impresa, e quelli strutturati. I primi, meno rischiosi, con minor tasso di default, potrebbero così essere rilanciati in Europa dopo la gelata della crisi: le banche impacchettano prestiti ed emettono carta che, con le dovute garanzie, la Bce ricompra liberando credito per l’economia reale. Il nodo è che ne risentirebbe negativamente il mercato americano degli Mbs e dei più rischiosi titoli «strutturati», tornato ai grandi fasti dopo la crisi del 2007 che aveva gelato tutto.
Ecco dunque l’offensiva di Draghi a nome dell’Europa. Anche la frecciata di Draghi al Fondo monetario («dia consigli anche alla Federal reserve») potrebbe essere collegata al confronto con Washington.

Il risparmio gestito

E fra i veterani del mercato c’è chi fa notare che Blackrock, un pezzo da novanta sui titoli strutturati negli Usa, non a caso sta puntando somme ingenti in Italia: «Comprano i crediti e opereranno nel risparmio gestito, tra le banche e le assicurazioni». Un disegno che si articola nel corso dei prossimi mesi e che verrà dosato in modo da orientare i mercati nella direzione giusta. E che probabilmente non esclude affatto, ma anzi è il presupposto di un nuovo maxi prestito alle banche a fine anno in stile inglese. Studiato sì per rifinanziare i crediti in scadenza, ma questa volta con il vincolo che i soldi dovranno essere prestati. Per prestarli, le banche devono liberarsi prima dei crediti problematici che hanno in pancia: il compito spetta agli stress test e, in prospettiva, al nuovo arsenale cui lavora Draghi. E non solo da ora.

mercoledì 2 aprile 2014

Sovranità monetaria della liretta? Sì, da camerieri degli Stati Uniti



http://www.tubechop.com/watch/2469311

A La Gabbia, il talk politico condotto da Gianluigi Paragone, ricordo una vecchia intervista in cui Andreotti spiegava il concetto di sovranità monetaria italiana ai tempi della Lira...

sabato 29 marzo 2014

#Obama dà il giro a #Renzi

DOPO LA VISITA DI OBAMA
ECCO COME CAMBIA
LA SCENEGGIATURA DEL FILM
 CHE RENZI STA GIRANDO

Di Enrico Cisnetto, Terza Repubblica

Sta cambiando la trama del film. Finora si è parlato dell’esistenza di due sceneggiature della “rivoluzione Renzi”. Una prevede di rappresentare quello che si vede dal vero: un presidente del Consiglio che ha buttato il cuore oltre l’ostacolo e che si gioca tutto sulla realizzazione delle riforme che ha annunciato, e che ha realmente intenzione di arrivare fino al 2018. L’altra, al contrario, disegna un politico spregiudicato che affabula di grandi intendimenti e utilizza a piene mani una sorta di “populismo buono” con cui intende battere il “populismo cattivo” di Grillo con l’obiettivo di vincere le elezioni europee, per poi passare subito all’incasso andando in autunno alle elezioni politiche anticipate. E non c’era neanche bisogno di spremersi il cervello per indovinare quale due fosse quella buona, perché con tutta probabilità entrambe le sceneggiature erano nella testa del regista-attore di questa fiction girata a palazzo Chigi, tenute buone per potersi permettere di decidere all’ultimo momento, fiutando il vento.

Ma ora le cose sono cambiate, e ancor più cambieranno in tempi brevi. Tanto che la trama del film rischia di dover essere completamente riscritta. Perché è lo scenario internazionale ad essere in movimento, come non si poteva prevedere quando è iniziata questa storia, e Renzi potrebbe vedersi forzare imprevedibilmente la mano, suo malgrado. La visita di Obama, molto meno ordinaria di quanto non traspaia dalle cronache, ci dice che gli Stati Uniti intendono spingere l’Europa verso scelte drasticamente diverse da quelle degli ultimi anni. Vogliono una politica economica e monetaria orientata allo sviluppo, che impedisca alla deflazione di succedere alla recessione, e che punisca chi (la Germania) prospera grazie ad un surplus commerciale eccessivo che mette in difficoltà i paesi europei più deboli ma anche gli Usa. Vogliono una politica estera europea comune di stampo neo-atlantico, che sappia mettere la museruola a Putin, facendo abortire le sue ambizioni di ricostituire l’impero sovietico. Vogliono una politica energetica comunitaria che riduca drasticamente il tasso di dipendenza dal gas russo, aprendo a quello shale gas che si sta rivelando un fattore rivoluzionario per l’economia americana. E, infine, vogliono un sistema di difesa europeo finalmente integrato, sia sul piano continentale che con quello atlantico. E chiedono, gli Stati Uniti, che i maggiori paesi dell’eurozona extra Germania – Francia e Italia in testa – facciano argine con gli Usa nei confronti dei tedeschi e del loro asse con la Russia. Altro che F35, qui stiamo parlando di scelte strategiche di grandissima rilevanza. A fronte delle quali Renzi può anche affabulare per due ore con Mentana in tv come se stessero giocando a scopone al bar del paese, ma non si può sottrarre. E non sono scelte semplici, ci sono di mezzo equilibri delicati ed è richiesto un tesoretto di credibilità che il nostro Paese purtroppo non possiede. Giocare una partita che abbia in palio la tenuta dell’eurosistema e della stessa moneta unica su basi opposte a quelle fin qui praticate non è cosa che si possa far a cuor leggero, per quanto si sia spavaldi. Renzi credeva di calcare un certo palcoscenico, e ora si trova a doverne calcare uno completamente diverso. Con molti più vincoli e meno vie di fuga.

Per questo occorre che faccia sul serio le grandi riforme che ha annunciato per cambiare l’Italia. È l’unica strada che ha per avere la credibilità richiesta per giocare su quei tavoli. Non basterà dire che la Merkel è cattiva per rispondere alla chiamata di Obama. Bisognerà avere le carte in regola a casa propria per provare a invertire l’indirizzo europeo.

lunedì 17 marzo 2014

La differenza tra #Renzi e #Berlusconi



http://www.tubechop.com/watch/2333257

La differenza tra Renzi, Berlusconi, Monti e Letta? Faccio un tweet TV a La Gabbia, puntata del 16/03/14

Fabbrichetta Italia, perche' abbiamo sbagliato tutto

Illuminante articolo, consigliato soprattutto a quelli che prima non hanno capito il modello industriale vincente e ora danno la colpa all'Europa all'euro e alla Merkel.

Giovani non andate all’estero
E' una resa

Alberto Krali, L'Eco di Bergamo 17/03/14

L’attore Massimo Giannini consiglia ai suoi studenti di Cinecittà: se avete idee andate all’estero. No, sbagliato: se avete testa, restate. Andare via è sempre una sconfitta. Certo che è dura per i giovani con prospettive di lavoro quasi nulle. Ma il campo di battaglia è qui. Perché portare truppe giovani alla Signora Merkel? La Germania attrae gente di valore e impoverisce gli altri Paesi dell’euro. Cosa si fa, si sta al gioco o si reagisce? Ecco un’alzata di scudi di cui ha bisogno l’Italia. Dicono i nazionalisti dell’ultima ora: per la dignità nazionale, non per la sopravvivenza.

C’è una frase che da sola riassume il momento: rimboccarsi le maniche. Facile dire: la colpa è degli altri. E noi? Cerchiamo di rimediare agli errori fatti in vent’anni e poi potremo dire all’Europa: adesso la linea la dettiamo noi. Quali errori? Per esempio la convinzione che l’azienda, la fabbrichetta, è uno strumento per far soldi. É andata avanti così per anni quando erano le banche a rincorrere i clienti per concedere loro i crediti. Così i figli di contadini che avevano messo su un’officina, un laboratorio artigiano, di colpo si sono trovati a godere di quello che per secoli i loro avi avevano sognato: soldi in tasca. E hanno pensato bene di prendersi le soddisfazioni negate ai loro padri, ai loro nonni e bisavoli: fare il signore. Il Suv per la moglie, la vacanze negli alberghi alla moda, cafona o meno non conta, ma cara, tutte le ostentazioni che la provincia richiede per chi il benessere non lo conosce e fa fatica a venirne a capo. Insomma ce n’era per tutti tranne che per l’azienda. Investimenti ai minimi termini, convinti che bastasse lavorare e su questo non si scherza. Tutta la famiglia è mobilitata e non ci sono orari. La flessibilità è garantita, c’è una commessa urgente: si lavora la domenica, anche di notte.

Ecco il grande equivoco. Si è operato in tempi altamente tecnologici come se si fosse nei campi nel secolo scorso: primo, aver voglia di lavorare. E quando la scuola avrebbe dovuto mettere una pezza all’ignoranza diffusa, è successo proprio il contrario. Sono i genitori che impongono la nuova visione dl mondo, quella dove ai discenti tutto è dovuto e il sacrificio sono tenuti a farlo i professori. Insomma si rompe il fronte educativo unitario fra scuola e famiglia. Le basi etiche non vengono condivise, e scuola e famiglia non si capiscono. Morale: la scuola viene meno al suo dovere formativo e sforna una generazione alla quale non è stato insegnato che il bene pubblico è l’ancora di salvataggio di una comunità e che quindi gli interessi privati devono essere misurati sulla bussola dell’interesse collettivo.

L’evasione fiscale è figlia anche di questa ignoranza. Adesso non pagare le tasse è questione di sopravvivenza, ma il riflesso condizionato é sempre quello di Verga, scrittore siciliano dell’Ottocento: teniamoci la roba. Vanno oltre confine, prima era la Romania per i bassi salari, adesso è la Svizzera per le basse tasse. É la disperazione che li spinge, e poi la speranza di venirne fuori con la sola riduzione dei costi della manodopera e delle tasse. Ma non basta, ci vogliono cervelli, gente appunto che abbia idee.

Non si vende più quantità, quella la fanno i cinesi, ma qualità, cioè miglioramenti continui dei prodotti e innovazione. Ci vogliono soldi e idee. Le banche hanno chiuso gli sportelli del credito e i cervelli vanno via. Oggi con Renzi dalla Signora Merkel ci sarà l’Italia intera, anche quella che non vota per il partito del presidente del Consiglio. Il Paese è unito nel bisogno, deve esserlo anche nel dovere di venirne fuori da solo.

giovedì 13 marzo 2014

Italiani, popolo di masochisti!!!

Italianiiiii!!!!!!
A volte mi chiedo se noi italiani non siamo un popolo di masochisti, travolti dal piacere della sconfitta.

Monti prende il Paese alle soglie del collasso economico-finanziario e a prezzo di sangue sudore e lacrime (nostre) riesce a non farci fare la fine della Grecia. Risultato: trattato come un macellaio che ha massacrato l'Italia.

Gli subentra Enrichetto Letta, bravo ragazzo un po' pasticcione che tuttavia riesce a dare all'estero l'idea di un'Italia che si impegna per risolvere i suoi problemi senza chiedere la carità a nessuno, continua a tenere i conti abbastanza in ordine e lo spread si calmiera. Risultato? Viene trattato da cazzaro (oddio lui e Saccomanni un po' lo erano, soprattutto sulla comunicazione), calciosederato e rottamato tra le risate del pubblico pagante (dato che paghiamo le tasse).

Ora s'avanza il giovane e baldanzoso Matteino Renzi, che per non fare la fine di Letta promette di rivoltare l'Italia come un calzino in 100 giorni. Risultato: trattato da televenditore di padelle, ma che dici Mastrota della politica, non è vero niente, sei contaballe, l'Italia è destinata al fallimento e tu ci stai vendendo fumo. Il tutto senza nemmeno dargli il tempo di scoprire le carte sul tavolo, così, a titolo preventivo, fiorentino borioso e pallongonfio non t'azzardare a tentare di cambiare il brutto Belpaese.

Insomma il salvataggio dell'Italia non ci piace mai: graduale no, shock nemmeno, il caffè non lo gradiamo né dolce né amaro e l'è sempre tutto sbagliato, tutto da rifare.

La verità è che perdere ci piace, ci fa godere. E hai voglia far rialzare un popolo di perdenti e felici di esserlo. Aveva capito tutto un altro giovane e controverso presidente del consiglio, che quando entrò a Palazzo Chigi a furor di popolo aveva solo qualche mese in più del Renzi del giuramento al Quirinale. Lui, che pure si era formato in trincea e non in senso metaforico, allargava le braccia e commentava "governare l'Italia non è difficile, è inutile".